PAY SCHOOL

In ogni città se ne contano tante, più o meno grandi, più o meno frequentate, più o meno pubblicizzate. Ma tutte piuttosto costose: si sta parlando delle scuole di inglese. A frequentarle gente di ogni età e condizione: allievi in tenera età, giovani, adolescenti, professionisti in età matura; tutti accomunati dalla necessità di apprendere o perfezionare la conoscenza di questa lingua divenuta ormai indispensabile in ogni ambito, da quello lavorativo a quello ricreativo. L’esigenza è fortemente sentita, la domanda piuttosto corposa, e, di conseguenza – per la più elementare delle leggi di mercato – il prezzo altrettanto elevato. Niente da dire, per carità! I soldi investiti in cultura e sapere sono sempre ben spesi. Però viene naturale porsi alcune domande: se l’insegnamento della lingua inglese viene impartito ormai in tutte le scuole di ogni ordine e grado, come mai si è costretti a sborsare fior di quattrini per impararla? Sarà mica per quella dannata inclinazione umana a non valutare le cose che vengono offerte in maniera gratuita? Che poi, a dire il vero, gratuita mica tanto! Benché la percezione è che sia gratuita, i costi della scuola pubblica, lo sappiamo tutti, non sono un’inezia. E allora, mi chiedo,  possibile che questa macroscopica inefficienza non venga rilevata da qualcuno che abbia il potere di fare qualcosa? Niente in contrario a chi le frequenta o insegna nelle scuole private di inglese, ci mancherebbe, ma ritengo legittimo porsi il problema del perché la scuola pubblica debba farsi sopperire  nell’insegnamento dell’inglese dalle scuole private. In fin dei conti non risultano esserci in giro altrettante scuole private di matematica o, che so io, di latino o storia dell’arte. A chi imputare la responsabilità di questo malfunzionamento? Certo è che pagare due volte la stessa cosa non è un bene per nessuno. Comunque la si rigiri o la si riguardi una cosa sola è certa: lo spreco! E su questo noi italiani siamo maestri insuperabili. Qui si che potremmo davvero fare scuola al mondo intero.