WUNDERKAMMER SOAP, il teatro di Stefano Ricci e Gianni Forte a Potenza

Narcisismo, euforia ed eccitazione, depressione. In forme estreme e contraddittorie si consumano esistenze segnate dalla solitudine e dall’abbandono. Un pubblico volutamente ridotto all’essenziale partecipa in un coinvolgimento diretto che il linguaggio prossemico rende emozio­nalmente più intenso. Didone ed Edoardo II, due piece delle sette che costituiscono l’insieme della wunderkammer soap, per la regia di Stefano Ricci e con testi di Gianni Forte,  hanno trovato, a Potenza, il loro palcoscenico in un antibagno del Conservatorio, trasformato in sala da bagno, e in un magazzino dell’Apofil. E’ parte integrante del teatro di ricci/forte agire in luoghi non convenzionali così come introdurvi un piccolo gruppo di spettatori (dai cinque ad un massimo di venti) che “migrano” da una sede all’altra e siedono su improbabili sgabelli di fortuna o sono addossati alla parete del luogo-non luogo, per essere, con uno sguardo quasi peep, furtivo, parte integrata della rappresentazione. Il numero dei partecipanti ed il luogo sono funzionali a creare “intimità” e correlazione tra attori e pubblico; viene meno ogni cesura tra chi rappresenta la sua storia  esistenziale e chi è chiamato ad esserne  voyeur, emozionato compartecipante che non esclude tuttavia anche momenti di fastidio in quella “convivenza coatta”. Elementi che sono essi stessi “gioco teatrale”. Didone e i suoi “quattro” spettatori sono chiusi, claustrofobicamente, in una sala da bagno bianca; la vasca al centro, su una parete specchi, un accumulo di oggetti ossessivamente collezionati, confezioni di Mc Donald’s, Barbie, saponette, immagini sacre, un pesce-pistola che spruzza bolle di sapone, foto di pin up dai sorrisi e sguardi sgargianti. Una “stanza delle meraviglie” di cui è parte integrante Didone, interpretata da Giuseppe Sartori, di cui l’amante vorrebbe ridurre la identità e la personalità ad una specie di Nicole Kidman. Infinita tristezza, il senso del non senso di vite spinte all’estremo della scelta fuori e al di là del conformismo e, per questo, allo stremo della sofferenza  dove l’amore è insieme motore, diniego ed abbandono. La struggente consapevolezza del travestito Didone che affida le foto di sé bambino ai signori seduti lungo le pareti della stanza, la sua esaltazione e la sua disperazione che lo spingono a tentare il suicidio nell’acqua piena di schiuma della vasca da cui da poco è emerso, la voluttà nel pulire il pavimento, nel rimettere a posto gli oggetti, nel guardarsi nello specchio; che si avvia verso la porta per tornare alla sua vita di sempre; tutto imprime il segno di una tristezza incommensurabile e partecipativa. Nella seconda soap, Isabella sconta il senso di colpa per l’assassinio dello sposo Edoardo, perpetrato per gelosia,  e per il senso di assaporata libertà. Angoscia e vacua speranza si alternano in un crescendo che tiene sospeso lo spettatore, spinto e schiacciato contro una parete della sala buia in cui è ambientato l’Edoardo II, uno spazio ampio, cortile di una prigione o  terrazzo o deposito abbandonato, disegnato da una fitta sequenza di corde su cui vengono stesi neri collant che restano a sgocciolare bagnando di piccole pozze d’acqua l’impiantito, mentre Isabella annoda collant neri asciutti che sa di poter usare come cappio. Isabella, con baffi disegnati con la Nutella, interpretata da Anna Gualdo, e due donne interpretate da Valentina Beotti e Anna Terio, si aggirano, si disperano, si esaltano, si strofinano sul muro annullandosi in esso, nello spazio informe e grigio del camerone, tra mucchi di barattoli di Nutella. Anticonformismo, dilagare di prodotti di consumo del mondo globalizzato della Coca-Cola, mercificazione di cose e individui; la contraddizione incombe, sommerge, lascia in apnea personaggi e pubblico. Denuncia di ciò che impregna la cultura pop? O, in fondo, citazione e indulgente condiscendenza al messaggio pubblicitario e consumistico? Critica della società o, infine, nella costante ripetizione del modulo, effetto teatrale che scivola nella maniera? Anche in questa indefinitezza il teatro di ricci/forte, teatro nel teatro, gioca con la forza delle sue contraddizioni, della sua ambiguità, delle sue provocazioni.