Lo sfascia Carroccio venuto da Potenza

Roma non fa la stupida e scopre di aver trovato un insospettabile compagno al duol. Da più di una settimana l’epiteto di “ladrona”, appioppato alla città capitolina dalla Lega Nord, è diventato un boomerang che ha tramortito le velleità padane d’imporre il proprio verbo all’intera nazione. A porre fine alla spocchiosa volontà padana di tenere sotto scacco l’intera nazione è stato un’inchiesta avviata nel 2011 da due Pm della Procura di Napoli, Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, noto per le inchieste spettacolari, ai tempi della Procura di Potenza. Ora il magistrato napoletano è tornato nella sua città, dalla cui sede, in sinergia con le Procure di Milano e di Reggio Calabria, ha avuto un ruolo determinante nelle indagini che hanno coinvolto la Lega. L’approfondimento operato dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico, su richiesta dei due Pm napoletani, nei confronti di Francesco Belsito, tesoriere della Lega, è risultato, poi, decisivo. Quel che resta della dignità di un partito politico cresciuto a dismisura,  si aggrappa, in queste ore, alla dignità di un movimento che ha creato il mito di uno stato nello Stato. Fiumi di parole che, negli ultimi tempi (guarda un Po…) sconfinavano oltre i confini padani. Un uso spregiudicato del finanziamento pubblico ai partiti ha aperto una voragine nell’elemento più destabilizzante mai avuto all’interno del sistema, nella storia repubblicana. Mai formazione fu così determinata e influente nel perseguire lo scopo di smantellare l’apparato costituzionale italiano. Per raggiungere questo obiettivo i leghisti, alleati riottosi di governo, hanno mirato al cuore dello stesso Stato del quale occupano, da anni, postazioni di rilievo. La Lega, in questi giorni, schiuma di rabbia, verde come il colore dominante del suo simbolo e come le sfumature cromatiche dei dollari e dei “centoni” d’euro. In questi giorni i lucani gonfiano il petto ostentando un pizzico d’orgoglio sudista nel considerare che, il demolitore del Carroccio può, a ragione e con licenza di rima, considerarsi un suo figlioccio.