Dinu Adamesteanu e l’Archeologia Lucana

Dal 23 marzo, nelle sale del Museo di Policoro, prende l’avvio la mostra “Dinu Adameşteanu. L’uomo e l’archeologo”, che espone Adamesteanufotografie e documenti che testimoniano, a 100 anni dalla nascita, la vicenda umana, culturale e scientifica dell’archeologo Dinu Adameşteanu, romeno di nascita, naturalizzato italiano, archeologo che fu capace di segnare profondamente la ricerca scientifica e, in Basilicata, il modo di intendere la dimensione ed il valore storico della presenza delle popolazioni locali nell’antichità.

Le sue prime attività furono con quelle che fu il suo maestro, Lambrino, nelle necropoli del Mar Morto. Quando  già nella seconda parte della guerra, l’Ambasciata di Romania fu chiusa, Adameşteanu fu uno dei pochi che volle rimanere e continuare a lavorare presso l’Accademia e la sua Biblioteca, insegnando la lingua, tra l’altro, agli ufficiali italiani, in partenza per il fronte orientale. La mostra documenta fasi importanti, quando, con l’arrivo degli Americani , lavorò con una task force, per riaprire biblioteche importanti come la Germanica; sino al ’47,quando con l’avvento del comunismo nel suo paese gli fu preclusa la possibilità di tornare in patria. Ridotto nella condizione di apolide dovette laurearsi, nuovamente, in Italia con Gaetano De Sanctis. Destinato nel centro di raccolta di Bagnoli, fu aiutato e sostenuto da intellettuali come Lepore, Stazio, Forti, Napoli.

Chiamato in Sicilia da Bernabò Brea lavorò a Lentini, con le mansioni ufficiali di operaio, tra l’altro privo di documenti; fu raggiunto lì, dalla notizia di aver ricevuto la cittadinanza italiana attraverso due carabinieri che faticarono non poco ad individuarlo fra i lavoranti che per un po’ diedero false indicazioni nel timore che lo volessero arrestare. La ricerca archeologica si sviluppò grazie all’interesse di politici ed imprenditori lungimiranti, fra cui Enrico Mattei che aveva investito nel petrolchimico nel territorio di Gela, grazie alle risorse che la Cassa per il Mezzogiorno seppe stornare favorendo progetti di rinascita. Dopo le grandi scoperte in Sicilia, ci fu il lavoro cui fu chiamato a Roma per la strutturazione dell’Aerofototeca che costruì con fondi della RAF e documentazioni aerofotografiche dell’Archivio Militare Italiano e il contributo del generale Ludovico, con nuovi fondi che accumulò con riprese fatte fare ex novo; gli anni di ricerca in Afganistan sull’insediamento islamico, sotto controllo Is.M.E.O., furono attività ed anni di intenso lavoro che anticiparono l’esperienza che venne a fare in Basilicata come Sovrintendente.

Da questo momento, siamo al 1964, iniziò il lavoro di ricerca su un territorio vergine dove, tra l’altro, la mancanza di interventi di bonifica da parte degli antichi proprietari terrieri, avevano lasciato assolutamente incolti e coperti di canneti paludosi e malarici interi territori a ridosso dello Ionio. Dal piccolo antiquario di Metaponto passò alla progettazione di strutture capaci di ospitare i materiali delle ricerche su una serie di luoghi importanti, Metaponto, Policoro, Grumento, di riqualificare e ingrandire il Museo Ridola a Matera, di condurre in porto la battaglia per l’esproprio del Castello di Melfi, ancora proprietà dei Doria, dove inaugurò nel ’67 le prime sale museali.

Il sogno di un Museo a Potenza si scontrò, invece, con problemi di tipo personalistico o di presunto prestigio provinciale. Le difficoltà economiche in cui oggi il paese si trova e lo scarso interesse mostrato nei confronti della cultura negli ultimi anni stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di quei progetti. La mostra , di cui il Catalogo, a cura di Salvatore Bianco e Antonio De Siena, edito dalla Scorpione editrice, con traduzioni della dottoresse Teresa Bosco, Hélène Claude Francès e Silvana Gambolò, grafica ed impaginazione di Angelo Todaro, segna il percorso, oltre che essere un degno attestato di riconoscenza a chi profuse impegno e creò una rete di collaboratori e di appassionati entusiasti, può essere una provocazione ad un reiterato impegno  sul territorio, e non solo, a reinvestire sulla cultura e sulla ricerca.