Conversazione con Antonio Luongo

Antonio Luongo, partito democratico

Antonio Luongo, partito democratico

Lei giovane cominciò a fare politica nella stagione delle Assemblee.  La mia generazione dovette discutere sul terrorismo, sul senso della politica, sulla pace ottenuta con metodi non violenti; l’ultima generazione che visse il rapporto con il movimento delle donne, fucina entro cui si discuteva del rapporto uomo donna. Allora, però, cominciammo a sentire che quella spinta eccezionale si era fermata, sconfitta. Però sono cambiate tante cose da allora.

 

Anche dal punto di vista della comunicazione. Siamo passati dal ciclostile a twitter. Su questo ho la mia idea. Chi fa politica deve ascoltare, intervenire non direttamente ma indirettamente. Non credo che sia attraverso quella che si crea consenso; tu sei classe dirigente non sei la piazza, credi di costruire l’appartenenza ad una cosa, in realtà ti nascondi. Invece devi dare risposte.

La sua elezione a segretario? Paradosso che bisogna spiegare. Non lo liquiderei. Significa che si è derubricato il senso della originalità del PD lucano di cui avrei dovuto essere consulente, eminenza grigia. Invece siamo a un assurdo della storia. Forse significa che c’è l’esigenza di rimettere con calma ordine. Dal punto di vista degli esiti abbiamo ancora una peculiarità, a seguire quella inaugurata nel ‘94, ‘95, ‘96. Marcello Pittella che vince le primarie rappresenta ancora una rottura del sistema di potere all’interno di quel centro sinistra. Renzi non c’entra, è una peculiarità lucana. So esattamente ciò che è successo. Pittella non rompe come avviene a livello nazionale, rinnova dentro quel ciclo politico che vuole rinnovare il sistema di forze e di gerarchie, tra Falotico, Vita, Antezza. Se è successo puoi spiegare perché io prendo il 41%.

Quindi a livello nazionale il PD ed il suo segretario regionale possono avere la possibilità di incidere, di OLYMPUS DIGITAL CAMERAdare segni di diversità. Devo tenere un tono basso e muovermi con intelligenza. D’altra parte non dimentichiamo che Renzi ha vinto perché Bersani ha perso. In Lucania c’è questa peculiarità che va analizzata e capita. Ora si tratta di dare una mano a Marcello e dargli forza nazionale per le partite che abbiamo. Poi c’è una nuova generazione al comando del partito che va rispettata. Da dalemiano ho detto se perde Renzi perde l’Italia.

Renzi non è venuto a trovarci. Credo che coglierà l’occasione sul tema FIAT. Comunque venire in Basilicata non è semplice. Non è una visita pastorale. C’è il tema energia. Punto primo il nuovo centralismo rispetto a federalismo e regionalismo come architettura dello stato. Poi c’è il problema di una classe dirigente delegittimata per gli scandali in Italia. Questo è l’ambiente in cui vai ad aprire una trattativa stato-regione-petrolio. Ecco perché dico che l’unità del PD è costruire il sistema di relazioni, mettere insieme quanti sono disposti ad aprire una fase dialettica, con gli interlocutori che avremo e discutere sulle questioni politico-sociali.

Però voi avete la responsabilità di fare capire. Abbiamo bisogno di tempo. Comunque superare il nostro snobismo e lo status culturale che ci fa intravedere una specie di autoritarismo illuminato in queste esperienze.

Costi quel che costi? Una sconfitta oggi ci porterebbe a qualcosa di molto peggio. Dalla seconda repubblica non ci sono più gerarchie ma vari centri di comando che si interdicono vicendevolmente, sindacati, avvocati, giornalisti, magistratura. Ricostruire una gerarchia di poteri sarà una impresa titanica. Bisognerà mettere un po’ di buon senso, preparare una nuova generazione, distinguere tra meriti e vanità perché ci sono tutte le ambizioni di questi giovani; però devono crescere e legittimarsi attraverso il loro sociale. I partiti una volta amministravano il destino dei ragazzi, anche i destini personali. Oggi non è più così. Manca una classe dirigente. È il momento di capirlo.

L’intervista integrale ad Antonio Luongo nel nuovo numero de Il Lucano Magazine.