Rifugiati: quando la notizia di cronaca diventa realtà

5 La terribile situazione che il Mediterraneo sta vivendo è drammatica in ogni suo aspetto: è drammatica sulle coste della Libia; è drammatica sulle coste italiane ma è ancor più drammatica in quel tratto di mare che unisce questi due territori. La speranza e il desiderio di una vita migliore e soprattutto libera muove migliaia di persone ad incamminarsi per lunghi ed interminabili giorni fino a raggiungere le coste libiche. Uomini, donne e bambini accettano di andar per mare su di un ammasso di tavole per sfuggire alla certezza ed affidarsi all’ipotesi della morte. Si, si tratta proprio di questo. Ognuno di loro abbandona la morte certa provocata dall’ISIS, dai militanti di Boko Haram, dalla povertà dei territori p er la possibilità, solo una possibilità, di una vita migliore. Una possibilità che deve far conto con il mare. Un mare gelido, così nero da non distinguere l’acqua dal cielo, così immenso che nel suo “abbraccio” cattura le persone trattenendole per sempre con sé.

La tragedia è vera emergenza; i migliaia di “fortunati” sfuggiti all’abbraccio di Poseidone devono necessariamente essere ospitati sul nostro territorio e su questo il dibattito è molto acceso.
Dal 29 dicembre anche Pietragalla è tra i comuni “ospitanti”. Il Comune aveva già aderito al progetto SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo Politico) per ospitare una famiglia richiedente asilo. 13La Prefettura di Potenza per far fronte all’emergenza ha disposto, con decisione inappellabile, l’arrivo e l’accoglienza di 20 richiedenti asilo a San Nicola. Sono dei ragazzi nigeriani di età compresa tra i 18 e i 26 anni, di religione cattolica, fuggiti dalla tremenda povertà dei territori del Delta del fiume Niger, una zona che per molti versi è simile alla nostra regione. La straordinaria ricchezza di petrolio del sottosuolo nigeriano ha arricchito le multinazionali petrolifere e al contempo ha impoverito i suoi natii; la gente in questi territori muore di fame.

L’associazione Manteca garantisce l’assistenza psicologica, legale e sanitaria; la presenza di un tutor diurno e di un tutor notturno consente loro di vivere più in tranqualità e autonomamente raggiungono ogni giorno Potenza per seguire le lezioni di italiano. Con tutta la vitalità dei ventenni cercano di integrarsi nella comunità. Nei giorni scorsi hanno partecipato alla Giornata contro il Razzismo, organizzata dal Comune e dall’Istituto comprensivo di Pietragalla, e a una partita di calcio con i ragazzi del paese. La comunità ha cominciato a muovere dei passi verso l’integrazione, ma siamo solo all’inizio di un lungo cammino. Ciascuno di loro ha una storia particolare, hanno abbandonato le loro famiglie, i loro affetti, il loro modo di vivere e si trovano catapultati in una realtà che non è assolutamente la loro e alla quale stanno cercando di adattarsi.

Tom, uno dei ragazzi, ci racconta che quando ha deciso di lasciare la Nigeria non aveva assolutamente pensato di venire in Italia. Aveva raggiunto la Libia e tra tante difficoltà aveva trovato anche un piccolo lavoro. All’inizio di dicembre dello scorso anno, però, la situazione era diventata davvero pericolosa; molti dei suoi amici erano stati messi in carcere perché cattolici, le violenze erano aumentate e la sola salvezza era una di quelle “carrette del mare”. In Italia si sente ospitato, anche se non mancano le difficoltà. Anche lui, come tutti gli altri, è in attesa della convocazione in Commissione Ministeriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ha alcun documento di riconoscimento e neanche la tessera sanitaria. Sa bene che l’iter è molto lungo ma è un’attesa che crea disagi e malumori.

Bright, un altro ragazzo, è ancora più deciso nel chiedere i documenti. Sembrerà strano, ma per loro la tessera sanitaria è un primo passo verso il riconoscimento; sentono di essere numeri e non persone per lo Stato Italiano. Nel corso della discussione emergono ulteriori disagi: 22lamentano la mancanza di vestiti, di prodotti alimentari tipici nigeriani e prodotti per l’igiene personale adatti al loro particolare tipo di pelle. Non sono pretese ma necessità la cui carenza ha ripercussioni sulla salute. L’associazione cerca di sopperire alle mancanze ma il numero cospicuo di ospiti e la precarietà delle risorse economiche e di collaboratori impediscono di soddisfare le richieste. La maggior parte spera di poter restare in Italia, magari riabbracciando la famiglia e con un lavoro.
Ibraim, un ragazzo nigeriano a cui è stato riconosciuto l’asilo politico, cooperante con l’associazione, ora studente universitario in Germania, ha sempre espresso fiducia e positività dicendo: “Finirà bene!”. Ci uniamo al pensiero positivo di Ibraim e confidiamo in un intervento internazionale che migliori la qualità di vita di queste persone anzitutto nella loro terra di origine e anche nei paesi che offrono ospitalità.

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