Perché il cibo è metafora di luoghi, mestieri e persone

Il cibo è forse l’elemento che caratterizza maggiormente l’identità di un territorio, che ne svela le radici, gli usi e le tradizioni degli abitanti che lo vivono. La Lucania, in particolar modo, sta vivendo negli ultimi anni una vera e propria ribalta mediatica, tutti ne decantano l’autenticità, il fascino di un paesaggio primordiale ma soprattutto il respiro di un passato semplice e agreste che si rispecchia nei suoi prodotti. Per questo fa sempre piacere quando un nostro conterraneo riesce a farsi strada e diventare portavoce di questi valori.

Incontro Giuseppe Calabrese alias Peppone nel suo locale, Cibò con il sorriso e la simpatia che lo contraddistinguono e che tutta Italia ha imparato a conoscere attraverso la sua partecipazione ai programmi La prova del cuoco e Linea Verde.

 

Perché Peppone, come nasce questo nome?

 

Mi hanno sempre chiamato così, da ragazzino il fatto di essere un po’ più robusto rispetto agli altri, ha portato al nome Peppone, ormai non mi giro più se mi chiamano Giuseppe. Anche se mia madre mi chiama Giuseppe, così come mia moglie, mio fratello, ma per tutti gli altri invece sono Peppone.

 

Chi o che cosa ti ha avvicinato alla cultura del cibo?

 

Ero uno studente di giurisprudenza e a pochi esami dalla laurea ho cominciato a lavorare al CNR nell’ambito della ricerca; ma poi per motivi personali sono tornato a Potenza. Quando sono rientrato, c’era questo posto, che per me era un luogo del cuore che era appunto Cibò, e andavo lì perché da sempre ho avuto questa passione per il cibo buono, di qualità. Poi piano piano questa passione è diventata un lavoro.

 

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato nella tua esperienza lavorativa?

 

Oltre a quelle burocratiche, c’è stato il fatto di scontrarsi spesso con la differenza tra il genuino e il buono e di conseguenza l’educazione al cibo che è complicata. A un certo punto, infatti, con i miei soci abbiamo compreso che era necessario fare una narrazione del prodotto e marcare la differenza tra il prodotto buono e quello genuino.

 

Infatti, il tuo è un locale fortemente culturale. Come riesci a far passare la ricerca che c’è dietro ai singoli prodotti che sono proposti nel menù a chi sta seduto a tavola?

 

Con i miei soci avevamo deciso che sarei andato io per i tavoli a raccontare a tutti esattamente di che cosa si stesse parlando, chi fosse il produttore di quel determinato prodotto, che cosa faceva, come lo faceva e in che zona lo produceva.

 

Che ruolo ha l’utilizzo dei piccoli prodotti alla volte sconosciuti ai più e, quali sono le scelte etiche del tuo locale?

 

Non scendo a compromessi sulla qualità del prodotto. In più se riusciamo a individuare dei piccolissimi produttori, diciamo così resilienti che si difendono, e di supportarli è una piccola vittoria. Nel nostro territorio ci sono diverse realtà in questo senso, ad esempio noi prendiamo i pomodori dalla filiera “Funky Tomato” gestita da ragazzi che stanno togliendo gli immigrati dal caporalato, quindi un’attività con un impatto anche solidale. Poi ci sono tantissimi altri produttori che scelgono di usare le tecniche di una volta, come ad esempio c’è chi produce ancora il latte crudo, chi fa le stagionature del formaggio in grotta, etc.

 

Nei piatti che proponete oltre ad esserci una forte tradizione si rintracciano anche delle contaminazioni. Da cosa ti lasci ispirare?

 

Ci piace proporre prodotti provenienti da tutta Italia. Personalmente non sono per il km 0 inteso come una cosa dalla quale non bisogna muoversi. Sono più che altro per la filiera corta e, come dice una canzone di Finardi, sono convinto che bisogna avere sempre una finestra aperta pronta a chi sa volare e quindi a spiccare il volo. Bisogna assolutamente contaminarsi, è lì che c’è la crescita, mantenere forti le radici ma con le ali.

 

A questo proposito, con la Prova del cuoco e ora con il programma Linea Verde stai girando tutta l’Italia. Quando arrivi in un posto cosa ti colpisce e cosa cerchi prima?

 

Cerco le persone vere. La prima cosa che faccio è trovare i piccoli produttori, quelli che fanno ancora la transumanza, che lo scorso 11 dicembre ha ottenuto la massima riconoscenza diventando patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Ti racconto un particolare durante puntata girata in Friuli: abbiamo trovato un signore che fa una stagionatura in una grotta profonda 70 metri, siamo scesi con delle scalette in questa gola claustrofobica … non ti dico! Ma è stata un’esperienza meravigliosa.

 

Secondo te, qual è l’aspetto meno valorizzato dell’universo culinario e quindi la nuova frontiera del cibo?

 

Questa è una bella domanda. Secondo me sono i mercati, mi spiego: bisogna tornare a fare una spesa di contatto nei mercati, parlare con i vari produttori, chiedere i prodotti della terra quelli genuini senza artefatti. Provare a ragionare proprio su questo: la domanda deve essere più consapevole, quindi andare nelle piccole botteghe, pretendere da chi fa cultura gastronomica, di avere quel prodotto, far sentire la vicinanza a questi eroi di questo secolo. Questa cosa potrebbe portare nell’economia generale anche i ragazzi che nel frattempo hanno fatto le loro esperienze di studi fuori, di costruire una nuova figura di agricoltore/produttore più consapevole e specializzato che sa stare in un mercato. Da questo punto di vista in Italia ci sono già dei “ritorni”, tantissimi laureati sono rientrati a coltivare i terreni che appartenevano ai loro nonni. Secondo me questa è la sfida: ritornare a valorizzare il territorio e l’autenticità dei prodotti.

 

L’ultima domanda riguarda la tua avventura televisiva. Qual è stato lo scambio esperienziale tra te e i programmi a cui hai partecipato?

 

Sia per la Prova del cuoco che per Linea Verde, ho trovato una squadra (autori, colleghi) bellissima, serena, pronta a scambiarsi opinioni e informazioni. Mi ha dato tanto anche l’aver conosciuto delle realtà in tutta Italia che mi hanno arricchito tantissimo. Dall’altra parte, io credo di aver portato autenticità, un giornalista durante i palinsesti Rai mi ha detto che provava piacere nel guardare le mie clip perché era come se si ritrovasse nella mia normalità. Difatti non leggo copioni, nonostante gli autori e i registi siano esigenti, quando arrivo ed entro in contatto con le persone mi dimentico tutto e vado a braccio. Sto affrontando tutto in maniera naturale e sto provando a fare un racconto sulla storia del cibo senza filtri, puntando sulla convivialità tutta italiana della gioia di stare insieme dando luce e lustro alla qualità dei prodotti nostrani.