“Aiutiamoli a fare da soli” l’essenza del tempo famiglie MAMO

«L’adulto deve farsi umile e imparare dal bambino a essere grande» diceva Maria Montessori. Cosa tutt’altro che semplice per un genitore, che spesso è assalito da dubbi e preoccupazioni. Ecco che lo spazio Famiglie MAMO a Potenza, rappresenta il luogo di sostegno e d’incontro per genitori e bimbi. Uno spazio che ha saputo riconvertirsi in questo delicato momento storico, così come ci raccontano le educatrici di MAMO.

 

Il tempo Famiglie MAMO rientra nel progetto Family Hub: mondi per crescere. Che cos’è MAMO e di cosa si occupa Family Hub?

 

Family Hub: mondi per crescere è un progetto selezionato da “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile che coinvolge cinque regioni italiane. Si rivolge ai bambini nella fascia 0-6 anni e ai loro nuclei familiari con particolare attenzione alle famiglie in situazioni di disagio e a rischio di povertà educativa. L’obiettivo che si pone è accogliere, ascoltare e rispondere ai bisogni delle famiglie, ampliare, diversificare, personalizzare e innovare le opportunità educative e creare sinergie e integrazioni virtuose tra i servizi già esistenti. L’ente capofila del progetto è il consorzio Co&So di Firenze. La cooperativa Il Melograno è il partner territoriale responsabile per l’attuazione del progetto nella città di Potenza in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Don Milani, l’associazione culturale La luna al guinzaglio e il Comune di Potenza – Assessorato Istruzione, Cultura, Turismo.

Il progetto è presente sul territorio nazionale con otto HUB di sostegno e orientamento, che in questo delicato momento di crisi sanitaria e sociale sono stati riconvertiti in sportelli telefonici di supporto psicologico per non interrompere la continuità del sostegno alle famiglie già prese in carico ed essere disponibili anche per genitori e nuclei familiari che si sono scoperti fragili in queste settimane.

Il Tempo Famiglie MAMO, realizzato grazie al progetto Family Hub,si caratterizza come: uno spazio e un tempo dedicato ai bambini da zero a tre anni insieme ai loro genitori (aperto anche alla partecipazione di eventuali fratellini e sorelline fino a sei anni); un servizio integrativo al nido, un luogo d’incontro di bambini e genitori insieme, all’interno di uno spazio idoneo, appositamente organizzato e attrezzato; per i bambini un’opportunità per sperimentare, insieme agli adulti e ad altri bambini, situazioni privilegiate di gioco in un ambiente protetto e pensato per la specifica fascia di età; per gli adulti un’occasione per stare con i propri bambini in un ambiente a loro misura e per incontrare altri adulti con i quali confrontarsi e condividere esperienze.

 

Cosa significa per voi operatrici lo spazio famiglie MAMO e qual è lo scambio esperienziale tra voi e le famiglie che vi partecipano?

Il Tempo Famiglie per noi educatrici è sicuramente un’occasione di crescita sia professionale che personale. È interessante condividere idee, attività ma ancor più bello per noi è sentire di essere di supporto alle famiglie, un punto di riferimento, un luogo caldo e accogliente cui poter tornare ogni settimana. Non entriamo, infatti, in relazione solo con i piccoli, che è qualcosa a cui siamo sicuramente più abituate, ma anche con gli adultiin uno scambio reciproco che nutre e arricchisce la nostra esperienza.

Nonostante l’italianità di Maria Montessori, il suo approccio resta ancora secondario rispetto al mainstream. In che misura il metodo Montessori è assimilato dai genitori che frequentano MAMO?

Quando la cooperativa il Melograno, molti anni fa, ha iniziato a costruire il suo progetto educativo ispirandosi alla pedagogia di Maria Montessori – in particolare così come riproposta in Italia dalla sua allieva Grazia Honegger Fresco, nostro principale punto di riferimento – abbiamo incontrato molto scetticismo o indifferenza, era diffusamente quanto ingiustamente percepita come una proposta vecchia, superata. Oggi fortunatamente c’è una riscoperta del suo pensiero e della sua opera, c’è un nuovo grande interesse nei suoi confronti. Il rischio molto alto, però, è che diventi in molti casi solo un’etichetta da appiccicare qua e là senza un vero studio e una comprensione profonda dei processi educativi che stanno dietro il materiale montessoriano che ora viene adottatoin diverse strutture educative.

In che misura sia assimilato dai genitori è difficile dirlo. In realtà è difficile dire anche quanto sia assimilato dagli educatori. Diciamo questo proprio perché continuiamo a pensare che sia una strada lunga e impegnativa. Sicuramente è stata assimilata l’idea che lo spazio deve essere ben organizzato e i materiali scelti e preparati con grande cura e messi a disposizione dei bambini e delle bambine in tante postazioni diverse in modo che possano scegliere liberamente e in autonomia quale attività fare e per quanto tempo e se da soli o in compagnia. E riteniamo che questo passi anche ai genitori. Su tutto il resto (l’osservazione, l’educazione indiretta, l’adeguatezza di tutte le proposte, la relazione, ecc.) ci dichiariamo umilmente in cammino.

 

Le attività sono organizzate in relazione ai diversi bisogni ed esigenze dei bambini. Quali sono le attività proposte?

Come diceva Maria Montessori, quindi, “l’ambiente è educante” e uno dei compiti principali dell’educatore è organizzare adeguatamente lo spazio. Noi educatrici predisponiamo l’ambiente dividendolo in spazi dedicati alle varie fasce d’età. Nello spazio comune più ampio è predisposta un’area dedicata al movimento e altre “aree laboratorio”, che cambiano di volta in volta, in cui bambino e genitore possono sperimentare diverse tipologie di attività. Altre attività predisposte sono: l’angolo dei travasi in cui si possono trovare travasi di ogni genere, da quelli più semplici a quelli più complessi; l’angolo della pittura con elementi naturali; l’angolo del gioco simbolico; l’angolo della lettura.

Per i più piccoli invece è organizzata una stanza a parte poiché hanno bisogno di un’attenzione diversa e di un ambiente più tranquillo e protetto con tappetoni, cuscini, specchi e corrimano. Nello spazio dei piccoli il “cestino dei tesori” non deve mai mancare. Oggetti sonori, sacchetti profumati, materiali naturali di vario tipo e dimensione, semplici mobiles, sono, inoltre, alcuni dei materiali solitamente messi a disposizione dei più piccoli.

 

Tra queste, figura anche “Nati per leggere”. Di cosa si tratta?

Nati per Leggere è un programma nazionale sviluppato da Associazione Culturale Pediatri, Associazione Italiana Bibliotechee Centro per la Salute del Bambino e propone alle famiglie con bambini fino a sei anni di età attività di lettura, quale esperienza importante sia per lo sviluppo dei bambini che per la qualità della relazione genitore-figlio. Si possono trovare tutte le indicazioni sul sito www.natiperleggere.it.

La cooperativa Il Melograno aderisce al Programma Nati per Leggere ed è stata una delle prime realtà a Potenza a formare alcune educatrici come operatrici e volontarie. Il Tempo Famiglie è stata l’occasione per sperimentare incontri di lettura ad alta voce grazie al prezioso e fondamentale supporto del coordinamento regionale Nati per Leggere. Si tratta di un’attività che noi riteniamo veramente speciale per la modalità con cui è proposta. Molto affine e in sintonia con l’approccio montessoriano. Non è lettura animata, non è lettura teatrale, è una lettura che potremmo chiamare relazionale, che mette al centro l’incontro intimo, la relazione, l’interazione reciproca tra il genitore (o comunque l’adulto di riferimento) e il bambino mediata dal libro e dalle storie.

 

In questa fase emergenziale, siete rimasti accanto alle famiglie. Quali sono state le iniziative a sostegno? Cosa porterete con voi da questa esperienza?

La situazione sanitaria ha obbligato tutti ad affrontare delle situazioni straordinarie. Se di per sé la condizione è stata, e continua ad essere, di difficile gestione, per i genitori ha significato una totale riorganizzazione delle proprie vite, dello spazio e del tempo da condividere e da conciliare con la cura dei propri figli. Abbiamo quindi provato a ripensare e riorganizzare le attività del progetto Family Hub per fornire alle famiglie delle misure come risposta alle domande, ai dubbi e alle incertezze. Innanzitutto quelli legati al momento che stiamo vivendo. Abbiamo così aperto uno sportello telefonico come servizio di ascolto, di orientamento e sostegno e formato un’equipe multidisciplinare con pediatri, pedagogisti, educatori, psicologi e psicoterapeuti che hanno messo a disposizione la propria professionalità ed esperienza a tutte quelle persone che, soprattutto in questo momento, hanno sentito ancor di più la necessità di un sostegno o di un parere degli esperti.

Lo sportello però non è solo un servizio, è anche lo “spazio” che accoglie storie, esperienze e racconti. Narrazioni che nascono dalla voglia e necessità di condividere nonostante il distanziamento fisico.

Non abbiamo mai avuto la pretesa di cercare e trovare una modalità in grado di sostituire la presenza e la relazione, abbiamo provato come tutti ad adattarci alla situazione, a fornire delle risposte e soprattutto a coltivare questa mancanza.

 

Ora una domanda più specifica sulla figura dell’educatore. L’educatore nel suo significato più stretto, tira fuori, fa venire alla luce le potenzialità del bambino. In questo senso chi è l’educatore per l’infanzia e cosa fa?

Cosa dovrebbe fare l’educatore per l’infanzia ce lo dice Maria Montessori: «La nostra opera di adulti non consiste nell’insegnare, ma nell’aiutare la mente infantile nel lavoro del suo sviluppo».

Il bambino nei primi tre anni conquista le facoltà essenziali per ogni essere umano – il movimento, il linguaggio, il pensiero – e lo fa in modo del tutto naturale e autocostruttivo. Gli adulti in questa fase non possono “insegnare” al bambino. L’adulto, secondo Maria Montessori, può educare solo in maniera “indiretta” attraverso tre compiti fondamentali: diventare per il bambino un punto di riferimento relazionale stabile offrendogli, in un contesto extra familiare, quella “base sicura” – per usare le parole di John Bowlby- che lo fa sentire libero di “allontanarsi” ed “esplorare il mondo”; non ostacolare il lavoro attraverso il quale il bambino auto- costruisce il suo sviluppo; preparare intorno al bambino un ambiente “adatto”, nel quale egli possa agire ed esercitarsi a misura delle proprie forze fisiche e psicologiche e avere l’occasione di svolgere attività e occupazioni rispondenti ai suoi bisogni.

 

L’ultima domanda riguarda il riconoscimento professionale dell’educatore. Infatti, il primo gennaio 2018, dopo un lungo iter parlamentare, è entrata in vigore la «Legge Iori» che dà riconoscimento e tutela alle figure professionali di educatore socio-pedagogico e di pedagogista. Si tratta di una disposizione importante, che diventa il punto di riferimento per migliaia di studenti, laureati e per chi già lavora in ambito educativo.Quali li effetti, se ci sono stati, sul piano lavorativo?

Il titolo di studio, la formazione universitaria e il riconoscimento del valore dell’esperienza sono senz’altro un elemento importante della professione educativa, ma, dopo tanti anni di lavoro possiamo dire che altrettanto importante è l’attitudine personale all’apprendimento e al miglioramento continuo insieme con un atteggiamento di ricerca costante supportata da una formazione continua di alta qualità.  Sul piano lavorativo, inoltre, il riconoscimento professionale ed economico delle competenze raffinate e dell’impegno lavorativo complessivo che questo ruolo richiede è un elemento centrale per il quale riteniamo sarebbe necessario un investimento pubblico decisamente più elevato.