Madonna dei Miracoli di Tramutola

La splendida valle, quae Tramutula vocatur, incastonata tra colline, balze, speroni, e monti del plesso alpestre della catena della Maddalena e il solitario Monticello ergentesi di fronte all’una e all’altra Marsico, ad uno  storico cinquecentesco appariva “undique delectabilis, utpote aёris serenitate perspicuus et aquis irriguis probatissimus”.

 In questo paesaggio, che conserva tuttora l’incanto  della stupenda composizione paesaggistica tra il verde intenso dei boschi che incoronano la valletta e il lieto paesaggio degli orti e giardini rigati da nastri argentei delle numerose sorgive che declinano a valle e dal rivo Bussentino che attraversa il paese,  giace Tramutola.

Una storia millenaria, quella del mio paese, che è stata profondamente segnata dalla presenza dell’Ordo cavensis, un rapporto secolare che ha contribuito con la cultura e la religione a dare alla comunità un “cuore” imprimendo lo stigma dello spirito benedettino alla fisionomia civile, religiosa e culturale.

Tra il patrimonio spirituale benedettino che tuttora alimenta la vita morale e sociale della comunità tramutolese è la religiosità mariana. Infatti, tra le più antiche testimonianze tuttora rimaste a testimoniare la fede dei tramutolesi per la Madonna è la cappella gentilizia intitolata a Santa Maria di Loreto, costruita a metà del Quattrocento da Petruzzo de Troccoli, padre di Giovanni,  primo poeta lucano in lingua volgare, attivo alla corte Aragonese di Napoli. Coeva alla chiesetta è la bellissima statua lignea della Madonna con bambino che, portata a Cava nel 1952-53 per essere restaurata, non è mai più tornata nella sua chiesetta; ora la statua fa bella mostra di sé nel Museo campano situato nella Badia benedettina di Cava. (Sarebbe bene che il parroco di Tramutola e l’autorità municipale si attivassero per chiedere innanzitutto testimonianza della provenienza della statua ai Padri benedettini più anziani che ancora hanno memoria di quel tempo per poi iniziare le pratiche per la restituzione. Ma bisogna fare presto!).

Nella devozione mariana del popolo tramutolese ha avuto sempre un posto centrale Maria SS. del Rosario, la cui chiesa fu costruita nel 1577 di fronte alla Chiesa Matrice, sei anni dopo la Vittoria di Lepanto contro la flotta turca, vittoria che Papa Pio V attribuì all’intervento della Madonna.

 Come è noto, il Rosario è di origine medievale. Come preghiera rivolta alla Madonna è una gloria  dei monaci Cistercensi;  San Domenico ne fece un’arma spirituale contro l’eresia dei Catari. La straordinaria diffusione nel mondo cattolico è da attribuire ai Domenicani, in particolare a San Pio V, domenicano, che ritenendo la vittoria sui Turchi ottenuta per intercessione della Madonna, ufficializzò la preghiera del Rosario sollecitando i fedeli a recitarla nell’intimità della famiglia attorno al focolare.

A Tramutola nel 1671 la Confraternita del Rosario e il popolo, vollero ricordare solennemente  il centenario della vittoria di Lepanto. Si svenarono i Tramutolesi per fare le cose in grande: da Laurenzana chiamarono un famoso maestro intagliatore, Linardo Laraia,, che costruì la porta artisticamente intagliata con scene di angeli.

Forse dello stesso  mastro Linardo è la monumentale pala d’altare che si erge dalla pedana dell’altare al soffitto.

Al centro della pala vi è la nicchia ove un tempo era allogata la statua di Maria SS. del Rosario; statua lignea a tutto pieno, alta circa m. 1,75. Il peso e la posizione in alto della nicchia, rendeva ardue le operazioni di prelevarla e portarla  in processione. A causa di tali difficoltà, i Tramutolesi fecero eseguire una copia più maneggevole, argentata, “stellata e dipinta di diversi colori con il Bambino con la diadema d’argento”, che nei documenti degli inizi del 1700 viene chiamata “Statua portatile”: è questa statua che ogni prima domenica del mese veniva esposta nella Chiesa madre e da allora è portata  processione.

Dal 1853 le festività mariane che si celebrano a Tramutola hanno messo in ombra, per così dire, le festività della Madonna del Rosario che, come è noto, cadono l’8 maggio e il 7 ottobre.        

Nel maggio 1853 il popolo, disperato per la persistente siccità che stava bruciando le campagne, chiede con insistenza al clero una processione penitenziale. Il 17 maggio la Statua della Madonna del Rosario muove dalla Chiesa con le statue dei Santi Avvocati  Antonio di Padova, Filippo Neri e Rocco seguita da tutto il popolo trepidante e fidente nel soccorso della Madre celeste. Durante la processione in più punti si verificano  fatti inspiegabili constatati da tutto il popolo: la Statua della Madonna in più punti indietreggiava, all’evidente sforzo degli uomini che portavano a spalla la Statua  di contrastare il movimento  opposto a quello di marcia, accorsero gli uomini che seguivano la processione opponendosi con tutta la foro forza al movimento di retromarcia, ma invano;  il fenomeno si verificava anche in una discesa dove la retrocessione avveniva nel verso della salita. Il popolo gridò al miracolo e intese quei segni clamorosi come una benevola risposta della Madre celeste alle sue invocazioni.  Ritornata la Statua in Chiesa, si verificò un altro segno che osservarono tutti coloro che gremivano la chiesa: dal petto della Madonna spiccò una fiammella  che attraversò tutta la nave centrale ritornando indietro; successivamente, dalla mano del Bambino partì una  fiammella che volteggiò avanti il volto della Madre e poi si spense. Sta di fatto che, senza alcun segno premonitore e senza che le condizioni atmosferiche lasciassero intuire, iniziò una placida pioggia che irrorò la campagna.   Chi scrive ha avuto il privilegio, per motivi di studio e di pubblicazione, di leggere dopo 165 anni, il fascicolo del processo canonico della causa: ancora mi si rinnova l’emozione che ho provato leggendo il racconto dei testimoni di quanto avevano visto e vissuto  in quei giorni.

L’evento del 1853 è un punto luminoso nella storia religiosa e civile del paese, che il popolo celebra ogni anno il 17 maggio con particolare solennità. Nel nome della Madonna dei Miracoli, titolo che l’effige ha assunto il 17 maggio 1923 quando il Primate di Basilicata, Filippo Anselmo Pecci, arcivescovo di Acerenza e Matera la incoronò Patrona e Regina di Tramutola, si è costituito un nuovo sentimento di appartenenza, patrimonio  spirituale tramandato di generazione in generazione.

Questo sentimento di appartenenza e di amore per la propria Protettrice, il popolo tramutolese lo esprime anche con una singolare festa: La Madonna nella barca.

Una processione che si svolge la domenica successiva alla festa del 17 maggio. La singolarità non è nella successione temporale ravvicinata delle due processioni, ma nel mezzo navale: cosa c’entra una barca in un ambiente di transizione  dalla pianura ai monti? E viene in mente la nave di San Gerardo a Potenza: nell’un caso e nell’altro i mezzi navali c’entrano  e c’entra pure il mare, sebbene questo disti centinaia di chilometri dal nostro paese e dal capoluogo di Regione.

Per lo vero non si conosce documentalmente quando è stata introdotta nella tradizione religiosa del paese; io  qui ne accenno come l‘ho sentita raccontare da ragazzino, racconto che trovo, per molti aspetti, coerente con la storia e con la simbologia degli elementi scenografici. La genesi della processione quasi certamente risale ai primi del Novecento per iniziativa di tramutolesi che, emigrati nelle Americhe, rientravano in patria. Così mi è stato raccontato quand’ero ragazzino. L’analisi semiotica degli elementi rappresentativi confermano, grosso modo, il racconto tradizionale

È una festa squisitamente popolare, dal popolo immaginata, voluta, organizzata. E infatti la sua preparazione coinvolge più  direttamente tutto il popolo nell’allestimento dell’apparato scenografico: piccini e persone adulte sin dal mattino sciamano per il paese a raccogliere rose che poi mani sapienti fisseranno allo scheletro della barca.  Sul far della sera, la statua della Vergine, issata sulla “barca”, tra due ali di popolo muove dalla Chiesa Madre percorrendo le strade del paese, con brevi soste nelle contrade attraversate. Ritorna in chiesa quando ormai è sera inoltrata.

La processione, infatti, è mimetica del viaggio che compiva un tempo l’emigrante; l’ambientazione serotina esprime il sentimento di nostalgia, di solitudine, di spaesamento che coglie chi, a quei tempi, era costretto ad affrontare il viaggio solcando l’oceano. L’idea di dover solcare l’oceano a persone abituate alla solidità della terra doveva certamente  provocare una tempesta di ansia, di dubbi, di paure. La genesi della processione tramutolese è nello scioglimento del voto fatto alla Madonna da migranti che rientravano in patria.

L’ora vespertina, “che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core”, le mille fiammelle che ondeggiano al passo dei fedeli in un crescendo notturno; la voce del sacerdote diffusa dall’altoparlante, i canti del popolo che si espandono per la valletta creano un’atmosfera oltremodo suggestiva ed esprimono una somma di sentimenti, di emozioni, di religiosità popolare carica di significati profondi, che la virtù creatrice del popolo riesce a rappresentare simbolicamente con risultati altamente poetici, che solo la sensibilità religiosa può cogliere nelle sue interiori risonanze

Non v’ha dubbio che trattasi di una delle più singolari e suggestive processioni che si svolgono in Lucania.

Santino G. Bonsera

Presidente Circolo culturale Silvio Spaventa Filippi

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