La nuova classe operaia

Sarebbe interessante poter ascoltare Karl Marx sulla nuova distribuzione sociale e di ricchezza della classe operaia, che oggi sembra essere la terra promessa dei giovani. La società è cambiata e con essa la distribuzione delle ricchezze e del PIL. Ad oggi non esiste più il ceto medio e gli operai, visti come dei disperati che altro non potrebbero fare e che devono sottostare alla tirannide imprenditoriale. Addio a operai e borghesi, perché la classe operaia ha preso il sopravvento sulla piccola borghesia e finalmente addio alle odiose classi sociali.

La nuova Italia ha un volto nuovo e le sue regioni, e il PIL prodotto da queste parlano chiaro: la nuova classe operaia è composta da persone più colte rispetto al passato e che spesso scelgono il lavoro in fabbrica rispetto ad altri mestieri. La Basilicata, con il suo cuor pulsante, ovvero la FCA di San Nicola di Melfi, è pioniera in questo nuovo disegno occupazionale.

Tutto diviene satellite di questa realtà economica che ha preso il sopravvento rispetto alle altre professioni. Vero è che di poltrone e sedute d’ufficio nel meridione ve ne sono di meno rispetto al nord, ma la fabbrica sembra essere la terra promessa per i giovani. Lasciati gli studi, o anche finiti gli stessi , bisogna cercare un’occupazione stabile nella terra promessa degli operai.

Quindi si potrebbe parlare di una classe operaia nuova di zecca che predilige le otto ore lavorative, “beggiate”, quindi riconosciute. La nuova classe operaia, rispetto al passato, sceglie con consapevolezza la propria professione, ricercando questo tipo di lavoro.  Si ridisegnano equilibri economici e familiari diversi, dove il “posto fisso in fabbrica” diviene quasi  l’equivalente del posto statale per Checco Zalone in Quo vado.

Gli operai delle fabbriche riescono a portare avanti progetti paralleli al lavoro e riescono  a mettere su famiglia, a differenza di chi svolge altre professioni che costringono a turni di lavoro impossibili. Basti pensare alle realtà vissute dai commessi nei centri commerciali o a tutti quei lavoratori per i quali i diritti occupazionali sembrano essere una chimera.

Dall’assicuratore al commesso, la piaga delle ore regalate ai datori di lavoro resta la problematica giovanile più attuale in materia del mercato del lavoro. Ma ciò che preoccupa maggiormente è che anche i più adulti, che perdono il lavoro per i motivi più disparati, si trovano a lottare con queste problematiche che sembrano essere lontane dal mondo fabbrica e diritti riconosciuti.

Nostro malgrado, stiamo ridisegnando una società sempre più diversa e consapevole di ciò che vuole e che cerca di raggiungere i propri obiettivi. Il sogno è avere un lavoro fisso in fabbrica, il mondo rosa è avere in famiglia l’intera coppia che lavora in questo contesto.

Ritornando al passato, ai primi operai che mantenevano col proprio operato nobiltà e clero, adesso, invece, quello che in passato chiamavamo salario assume la forma del potere d’acquisto del lavoratore che segue sogni e passioni. Un vero divario ideologico e sociale che ha scavato le proprie fondamenta col tempo e con il trasformarsi della società.

Nel  1860 Karl Marx definì l’operaio “libero, nel doppio senso di una persona che è libera di disporre della sua forza lavoro come di una propria merce, ma d’altro canto […] è “libera” da ogni strumento necessario per mettere in atto la sua forza lavoro”.

Ai nostri tempi ci rifacciamo a Checco Zalone:

“E tu Checco? Che vuoi fare da grande?” “Io voglio fare il posto fisso!”