La privatizzazione dell’acqua

La Legge n. 133 del 6 agosto 2008 Art. 23-bis (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112) introduce nel nostro ordinamento l’affidamento e la gestione dei servizi idrici locali ai soggetti privati.

La nuova disciplina in materia, varata “al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza” anche in tema di servizi pubblici, mirerebbe, dunque, a incrementare l’efficienza e, in definitiva, ad agevolare la riduzione dei costi conseguente al regime di concorrenza che si instaurerebbe.

Ma è proprio sulla presunta riduzione dei costi che si sono innescate le polemiche più aspre. I privati interessati all’acquisizione dei servizi ritengono possibile, per l’utente finale, ottenere una riduzione dei costi in ragione della maggiore razionalizzazione ed efficienza che le imprese potrebbero apportare. In linea con questa visione si pone anche l’Antitrust, che ritiene la legge 133/2008 “un buon provvedimento perché dà luogo a una liberalizzazione da tanto tempo da noi auspicata”. Diametralmente opposto il parere delle associazioni dei consumatori.

Il Codacons, ad esempio, ritiene che “La liberalizzazione dell’acqua prevista nel decreto Ronchi peserà sulle tasche dei cittadini con aumenti che saranno a due cifre, compresi tra il 30% e il 40%.” Inoltre, passate esperienze hanno dimostrato che non sempre l’affidamento di servizi prima erogati in regime pubblico ha apportato abbattimento dei costi. Non è passato molto tempo dalla legiferazione in merito al prolungamento dei tempi di concessione delle spiagge pubbliche a soggetti privati. Anche in questo campo l’introduzione della concorrenza avrebbe dovuto favorire la riduzione del prezzo finale, ma non so quanti ritengano che il prezzo dell’ombrellone sia esiguo per via della concorrenza.

D’altra parte, se lo Stato nel fornire un servizio non ha la pretesa di guadagnare, ma tende solo a tenere in pareggio il bilancio, un’impresa privata, invece, per sopravvivere ha bisogno di ottenere profitto. Sul reddito, inoltre, l’impresa paga le imposte che, in fin dei conti, vanno a gravare sul prezzo finale del servizio offerto, e, in ultima analisi, sulle tasche del cittadino.

A questi problemi meramente economici e finanziari, si sovrappongono anche problemi di ordine etico e morale quando in gioco vi è una risorsa pubblica di importanza fondamentale per ogni individuo.

Un conto è pagare l’acqua allo Stato di cui ognuno di noi è parte, un conto è pagare l’acqua a un privato, anche se questi si dimostrasse in condizioni di farci risparmiare qualche centesimo.

Alcuni beni e servizi essenziali e fondamentali dovrebbero essere tolti alla logica del mercato e del profitto. Una risorsa primaria come l’acqua va gestita e trattata con tutta l’attenzione e l’oculatezza immaginabile, ma non può essere il “prezzo” a fare da riferimento per ogni intervento sulla questione.