OLTRE LA “NON VITTORIA”

Una esperienza di vita socialista

Il 23 maggio 1973, all’età di cinquantaquattro anni moriva Michele Torrio. Ne rievoco la figura in questo frangente politico e sociale. L’esperienza della “non torrio-sitovittoria” della “sinistra” alle ultime elezioni politiche riattualizza la riflessione sui fatti che hanno segnato la politica italiana di questi ultimi venti anni: la confluenza “a freddo” nel PD di parti della Margherita, in buona parte  ex DC, e del PDS, succeduto, a  sua volta, all’ex PCI e a parte del PSI; la meditata rimozione del dibattito  e delle esperienze maturate fra le variegate  culture italiane del ‘900, quella  cattolica, quella socialista, quella liberale, nutrita della tradizione risorgimentale, quella espressa anche da tanti  comunisti; il falso bipolarismo all’italiana aggravato  dalla legge elettorale, finalmente, oggi, apertamente riconosciuta come incostituzionale.

Gli esiti scellerati, soprattutto al momento del voto per il Presidente della Repubblica, esemplificano  quanto sia rischioso tentare di cancellare culture ed identità. E’attuale l’esigenza che si riconoscano le identità culturali e politiche italiane, così diverse da quella statunitense, e le culture militanti nel rapporto con le espressioni dei partiti europei.

Figlio di Vincenzo Torrio, la esperienza di Michele Torrio  andò ad incrociare quella  del padre. Visse l’infanzia, dal 1922, a San Biase, nel territorio di Francavilla sul Sinni, poi a Latronico, dove il padre fu “trasferito d’ufficio”, cioè confinato. Ricevette la prima formazione scolastica dal padre; frequentò il Ginnasio a Bari; al Parini di Milano conseguì la maturità classica. Furono gli anni milanesi una delle più intense e stimolanti esperienze. Il ricordo di quegli anni torna nei suoi appunti veloci, insieme con quelli di  filosofia e teosofia cui il suo professore  indirizzava  i suoi studenti con una intensa analisi critico- scientifica.

A Milano faceva capo all’avvocato Gaetano De Martino, fervido antifascista, originario di  Montepeloso (Irsina). A Napoli, presso l‘Università Federico II,  frequentò i corsi di giurisprudenza sino al 1940.

La fine della guerra ed il rientro in Italia, dopo la prigionia in un campo inglese nelle vicinanze del Cairo, le rovine della sua Napoli universitaria, lo portarono a maturare la scelta di un  socialismo riformista ed autonomista,  con una visione talvolta non coincidente con quella del padre se pure, l’una e l’altra convergenti. Non erano motivo di questione le scelte fondamentali della cultura socialista e del posizionamento politico del partito a sinistra. Erano le esperienze generazionali ad essere diverse.

Vincenzo Torrio aveva vissuto  la scissione del partito, nel 1921, e la formazione del PCI come la iattura che avrebbe indebolito le classi operaie e medie, lasciando aperto il campo alle forze più conservatrici; il verificare che le sue previsioni non erano errate, lo portò ad sperare, dal ’21 in poi, nella ricucitura dello strappo, nel ritorno alla unità, aderendo alla  posizione unitaria sin dal Congresso di Bologna. Michele Torrio, invece,  ritornato in Italia, dove  iniziò ad esercitare la professione di Avvocato, patrocinatore in Cassazione, a contatto con la vita politica italiana, all’indomani della svolta di Salerno, comprese  che quello strappo sarebbe perdurato sino a quando la politica del PCI fosse stata quella di egemonizzare  a sinistra e fosse rimasta legata a Mosca.  Il Partito Socialista non aveva altra via che affermare la sua identità attraverso una dimensione riformista ed autonomista.

Rispetto al periodo di grande complessità, come quello che oggi  viviamo, e al dibattito in corso, stanco, banalizzato, è  importante tornare ad attrezzarci per il prossimo  futuro. Di quegli anni difficili, di cui furono specchio, per i socialisti, e non solo, le unificazioni e le scissioni, si avverte, però, la ricchezza ed il peso di una pluralità di scuole di pensiero che si alimentarono del confronto tra personalità diverse e di grande spessore; così come si avverte la differenza tra un centro- destra di oggi, che vuole  Berlusconi come suo rappresentante ufficiale e, per esempio, la Democrazia Cristiana dagli anni cinquanta  in poi.

Quando a Milano, nel 1953, al XXX Congresso del PSI, Nenni coniò la nuova formula dell’ “alternativa socialista”e,  su Mondo Operaio del  n.3, marzo 1956, relazionando sul  XX Congresso  del Partito Comunista Sovietico,  sottolineò di Krustciov la formula “Il metodo dei negoziati deve diventare l’unico metodo per la soluzione dei problemi internazionali …”,intuiva una nuova prospettiva  per  i problemi della distensione. La soluzione delle tensioni internazionali   avrebbero  modificato “  le condizioni interne della lotta di classe e della lotta politica dei lavoratori,  in relazione al riconoscimento della legge dei numeri- maggioranza, minoranza- o del diritto di conquistare la maggioranza, il rispetto della legalità democratica” sancita dalla Costituzione. Nel  P.S.I. si apriva il dibattito sul tema della democrazia socialista, sul valore della “cultura” e sulla responsabilità del lavoro culturale, sulle prospettive aperte dal progresso  tecnico e dallo sviluppo; sul M.E.C., il mercato comune, grazie al quale la società capitalista, rispetto alla funzione storica assunta, avrebbe dovuto operare per il miglioramento delle condizioni delle classi svantaggiate.

Michele Torrio partecipò intensamente a questo dibattito. Convinto della necessità che il paese dovesse uscire dalla esperienza dei monocolore senza alternanza, e che si dovesse avviare  verso una stagione in cui anche le sinistre dovessero essere coinvolte nel governo, vide con soddisfazione il nascere del primo  governo di centro-sinistra. Di fronte alla tesi della real-politik Michele Torrio, con lucidità, prese le distanze. Vide il pragmatismo, il determinismo, alla fine, come alibi dietro cui la sinistra italiana si nascondeva per evitare  l’impegno a governare ed a misurarsi con i problemi  delle diseguaglianze che denunciava; fu  convinto che in politica non si potessero fare sconti di nessun genere, che dovessero essere bandite tutte le dittature, e questo sin dall’epoca  di Stalin, e le forme di dispotismo; che non si potessero fare sconti nemmeno alle forme di presidenzialismo quale quello che il gollismo esprimeva in Francia o a quante  potessero maturare ulteriormente.

Fu vice presidente dell’Istituto Autonomo Case popolari, per l’edilizia popolare dal 1965 al 1971, e Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto  Professionale di Stato. Partecipò ancora al Congresso Regionale del P.S.I. all’inizio del 1973 cercando ancora di portare il suo contributo.