Di lavoro e altro all’Associazione Nitti

1Il primo incontro presso l’Associazione Francesco Saveri Nitti, per il ciclo Noi in Italia. Opportunità e rischi, su “Il lavoro imprigionato”, a Melfi, ha rivestito particolare importanza per la sensibilità della società lucana sul tema, essendo il clima oggi ulteriormente riscaldato dai vari annunci fatti dal governo e dal suo Primo Ministro sulla ipotesi di riforma del mercato del lavoro.

L’incontro è stato introdotto dal segretario della Associazione, Gianluca Tartaglia, presenti le istituzioni, dal sindaco Valvano al Presidente Piero Lacorazza, ospite dell’incontro il Presidente della X Commissione in Parlamento, deputato Guglielmo Epifani, già Segretario del sindacato della CGIL, esperto della materia a livello sindacale e politico. Divisioni ed incertezze anche sul come muoversi e condividere, tra i sindacati; la storia originaria del PD che, raggruppando anime della esperienza del dopo PCI, quelle plurime di area socialista, quelle della esperienza del dopo DC, fa riemergere attraverso Renzi più che la pluralità l’idea primigenia di aggregazione veltroniana con un che di marchionniano, comunque renziano e liquido; l’essere Epifani Presidente della Commissione Lavoro in cui si cerca di elaborare una sintesi tra le istanze di quanti sono stati eletti alle elezioni per il Parlamento italiano nel 2013, degli alfaniani entrati nella prima edizione delle larghe intese, e dei berlusconiani della seconda edizione che vede F.I. preludere ad una intesa più allargata: tenere la barra con queste premesse e di fronte ad una platea molto attenta è un impegno serio che Epifani ha affrontato a 360°, conversando con il prof. Marco Percoco, docente presso la Bocconi. Quello del lavoro è un problema gigantesco – ha detto – che riguarda tutto il paese, la Basilicata e il mezzogiorno di cui – ha sottolineato – non si parla più.

Alla domanda postagli dal Lucano, se non si apra la possibilità o il rischio che le prospettive lavorative insite nel jobs act (di cui, ricordiamo, si chiede una approvazione aperta ad una delega in bianco) siano quelle dei lavoretti dell’America degli anni della espansione economica che di una occupazione di qualità; o siano quelle del modello danese di Ichino, risponde che lavoretti e salari bassi, oppure diritti sono alternative radicali; migliore, suggerisce, il modello tedesco. L’incontro della serata chiede chiarezza: il progetto di riforma si muove variamente tra un modello danese proposto da Ichino, al quale lo stesso Ichino non riconosce la possibilità di poter essere messo in pratica per via delle difficoltà di finanziamento, un modello spagnolo ed un modello tedesco per il quale sembrava optare Renzi salvo a abbandonarlo per correre dietro la proposta ventilata da Ncd.

Il dibattito è stato introdotto dal direttore Tartaglia e dal sindaco della città di Melfi che ha richiamato l’attenzione su un problema di equità, di dignità e giustizia e sulla incongruenza che si parli di come uscire dal mondo del lavoro, dimenticando quel grosso pezzo di società, di marginalità, che ha difficoltà ad entrarvi.

Epifani ha ricordato che da quindici anni, dall’entrata dell’euro, il nostro Paese ha un tasso di crescita e di andamento del PIL con un tasso uguale a zero per cui risulta indietro rispetto agli altri paesi che hanno prodotto più reddito; e che i dati italiani ad oggi si confermano negativi. Già da segretario CGIL, aveva denunciato come ci fosse un problema sulla politica industriale del paese, pur essendo una voce isolata e Confindustria dicesse che eravamo ad un nuovo rinascimento italiano; ora ha sottolineato che due sono gli aspetti che vanno considerati, da una parte le nostre responsabilità oggettive, dall’altra come è stata costruita l’Europa. Innanzitutto siamo stati incapaci di adeguarci subito – abituati ad avere una moneta flessibile e a garantirci un margine che permetteva la crescita pagando con l’inflazione – al passaggio alla moneta più forte dell’Europa con un impegno a superare le condizioni strutturali ed i comportamenti.

Le imprese italiane hanno continuato ad investire meno in ammodernamento, qualità e ricerca senza cui abbiamo una debolezza che impedisce di affrontare la situazione e di farcela, con l’avallo dei governi di centro destra che hanno aumentato la spesa pubblica corrente, trascurando quella per gli investimenti , infrastrutture, operazioni sulla scuola, ricerca, università quelle cose che preparano il futuro. E’ passato, quindi ad elencare gli altri elementi di rigidità, tassazione ancora spinta a prelevare dal lavoro ed impresa, mancanza di un intervento sulla grande evasione, un paese Italia in infinita transizione istituzionale. L’altro limite- ha ricordato Epifani- riguarda l’Europa. E’ mancato quel minimo di convergenza sulla politica fiscale, economica senza la quale c’è qualcuno che perde e qualcuno che ci guadagna – la Germania per esempio produce in surplus. Manca la solidarietà perché si è creato l’euro prima di costruire l’ unità politica necessaria per ridurre il rischio che le differenze di velocità aumentassero, come vediamo confrontando Germania e paesi del sud. Delle difficoltà che l’Italia vive, quindi, non tutte sono a lei addebitabili, a cominciare dalla crisi nata per le anomalie e i comportamenti perversi del mercato privato della finanza, poi trasferito al pubblico. Siccome senza investimenti non si riparte, ed in particolare quelli pubblici, che in Italia fanno per due terzi gli enti locali, la legge di stabilità deve essere allentata per renderli possibili.

Il progetto di riforma – ha ricordato – deve rispettare diritti della salute e della maternità, ridurre le tantissime forme contrattuali che oggi esistono, evitando scelte che riconfermino o ricreino disparità tra chi ha partita IVA e chi ha altro. “E’ l’ art. 18 a non fare assumere? O, invece, i tempi burocratici lunghissimi impediscono la celerità degli investimenti?” si chiede Epifani. Pur dichiarandosi d’accordo sugli incentivi salariali, ha notato che però non bastano ad alzare la produttività e qualità. Per quanto riguarda il disamora mento o, comunque, la diminuzione di iscritti del sindacato, essi derivano dal fatto che si conosce il sindacato e si fa attività sindacale quando il rapporto di lavoro è stabile; lo si incontra nei luoghi di lavoro e certo non con la delocalizzazione. Se i tedeschi hanno difeso la lavorazione di qualità, a fronte della quale ci sono salari altissimi, l’Italia, invece, non difende bene i suoi interessi, tra impresa e stato non c’è interlocuzione, diversamente da gli altri paesi, gli ingegneri non trovano lavoro semplicemente perché le nostre imprese non li richiedono.

Se ci sono quattro settori che ci danno surplus, l’agroalimentare, il farmaceutico con un buon livello di ricerca, la robotica in Emilia Romagna e il Made in italy, per siderurgia, metallurgia, per la trasmissione digitale molto arretrata, anche perché non investiamo sulla banda larga, bisogna trovare soluzioni. Se qualcosa sintetizza tutto, ha concluso, questo è il problema di efficienza.