Train de vie – Un treno per vivere

Nel triste ricordo dell’Olocausto il regista rumeno naturalizzato francese Radu Mihăileanu, nel 1998, compie vivace riscrittura di un frammento di storia attraverso una parentesi comico-farsesca della Shoah. Il film si sviluppa quasi integralmente come un flashback ambientato in uno shtetl (villaggio ebraico dell’Europa dell’Est) nel 1941. Qui un gruppo di ebrei, avvertiti per tempo dell’arrivo dei nazisti dal matto del villaggio, Shlomo, decidono, sempre sotto suo suggerimento, di mettere in atto un piano di salvezza improbabile: inscenare una finta auto deportazione su un vecchio treno dall’idea nazista con vagoni per deportati e vagoni-letto per soldati, avente per meta in realtà la Terra Promessa passando per l’Unione Sovietica. Dopo aver composto pezzo per pezzo il treno della salvezza ed eokkssersi divisi i ruoli tra nazisti e deportati, aver imparato il tedesco dall’insegnate ebreo Schmecht accorso per istruire i finti soldati nazisti, aver trovato un macchinista, i protagonisti danno inizio all’assurdo viaggio. Incontreranno non poche difficoltà lungo il loro cammino. Grazie ad espedienti singolari riescono a scampare più volte ad incontri ravvicinati con i veri nazisti ed è in queste situazioni che si generano situazioni paradossali. Ma l’imprevisto più inaspettato e piacevole è senza dubbio l’incontro con un gruppo di zingari in fuga, travestiti da tedeschi, che fermano il treno per un controllo e con i quali  proseguiranno il viaggio. Il folle treno riesce però a raggiungere l’agognata meta e raggiunto il confine sovietico i passeggeri sono finalmente liberi di tornare in Palestina.

Solo negli ultimi frame del film si scoprirà la cruda verità: “Ecco la vera storia del mio shtetl.-Shlomo – …quasi vera”, l’inquadratura si allarga e lo si vede sorridente con casacca e copricapo a righe dietro un filo spinato in un campo di concentramento.

Shlomo, il matto che innesca la vicenda, estremamente lucido e consapevole nella sua presunta follia è la voce narrante e viaggia sopra il treno come un angelo custode, osservando tutto e tutti col suo sguardo profondo, limpido e ingenuo, incredulo dell’atrocità che sta vivendo.

La scelta coraggiosa del regista di trattare con “leggerezza” la Shoah si conclude con un finale inaspettato, che lascia senza fiato; ciò a testimoniare che quel paradossale e divertente viaggio della salvezza fosse solo un espediente per raccontare la tremenda realtà dell’olocausto. Le peripezie di un ristretto gruppo di persone sono la metafora di un intero popolo che ad una situazione inumana e folle risponde con una follia sana, la fantasia.