Il doping in Europa

La consapevolezza di una sempre maggiore diffusione nel mondo dello sport della piaga del doping, impone a coloro che ne hanno la possibilità ed i mezzi, di fare qualcosa per cercare, di debellare un problema grave come questo, che bisogna affrontare e combattere, senza la presunzione di riuscire a sconfiggerlo subito e con facilità. Questo fenomeno si concretizza nell’abuso di farmaci che comportano gravi danni alla salute e all’integrità fisica, che non si manifestano sempre nell’immediato ma anche a distanza di molto tempo.

Non bisogna pensare che il doping sia qualcosa che riguarda solo gli atleti che si dedicano all’agonismo e quelli per i quali lo sport è la principale attività lavorativa: il doping è qualcosa di molto diffuso tra i cosiddetti amatori e, purtroppo, anche tra i più giovani che desiderano emulare i loro campioni del cuore e che credono di poter avvicinarsi, o eguagliarne le prestazioni, assumendo queste sostanze nocive, non comprendono o non vogliono comprendere che dietro un grande risultato vi è un duro allenamento e molti sacrifici e che per poter conseguire risultati analoghi, questa è l’unica strada percorribile. Non si possono ottenere certi risultati con l’improvvisazione e, soprattutto, attraverso la pericolosissima scorciatoia del doping.

Purtroppo, talvolta neanche la consapevolezza dei gravi rischi che si corrono, è un deterrente per quanti desiderano conseguire certe prestazioni a tutti i costi e le vicende di un recente passato ci insegnano che l’attività svolta in questo senso dai vari organismi sportivi è stata del tutto insufficiente, forse perché non c’è stata da parte di tutti una vera volontà di reprimere questo vero e proprio male sociale: ormai sono troppo alti gli interessi economici che ruotano attorno al fenomeno sportivo, e spesso si chiude un occhio pur di ottenere la grande prestazione durante lo svolgimento di una gestazione sportiva, perché ciò significa maggiore attenzione e di conseguenza maggiori guadagni per gli organizzatori, gli sponsor, la vendita dei diritti televisivi e tutti quegli interessi economici che ormai sono parte integrante di un evento sportivo. In ogni caso l’opera svolta dagli ordinamenti sportivi attraverso i propri organismi di giustizia, non è stata in grado di coprire tutti gli aspetti del fenomeno per riuiscire a portare dei risultati soddisfacenti, ed è per questa ragione che l’Unione Europea, pur nel rispetto dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, deve intervenire con decisione, e si deve impegnare affinchè si arrivi ad una soluzione normativa in cui non si tralasci nessuno dei vari aspetti del fenomeno doping: quello scientifico, quello economico e quello sociale.

La lotta a questa tipologia comportamentale deviata, oggi, ha pù che mai, biogno di organizzazioni ed individui terzi, che non abbiano alcun contatto o relazione con il mondo dello sport soprattutto per evitare che controllore e controllato finiscano per coincidere, annullando di fatto una qual si voglia possibilità di controllo. Infatti in veste di deputato al Parlamento Europeo, all’inizio del mandato parlamentare (1999 – 2004), ho proposto la creazione di una “Agenzia Europea Indipendente” a cui affidare la lotta al doping. Svincolata da qualsi voglia legame con Associazioni ed Enti sportivi, essa avrebbe dovuto condurre la sua battaglia in piena autonomia e trasparenza, in completa libertà, emendandosi da vincoli e pressioni esterne. Detto organismo avrebbe avuto lo scopo di assistere le oranizzazioni sportive, le persone fìsiche nonché gli organi giudizari e di polizia degli Stati mèmbri, impegnati anche nella lotta contro la criminalità organizzata previa richiesta d’intervento da parte degli stessi.

1Tra le altre proposte avanzate dallo scrivente, in qualità di Eurodeputato, c’era quella concernente la promulgazione di un’apposita “normativa penale comunitaria”, contro il ricorso al doping, la quale finalmente bollasse l’assunzione di sostanze illecite e la comprendesse in una tipologia comportamentale sazionabile e non solamente deprecabile, e che, quindi, riconoscesse io ricorso al doping come reato penale.

Una legge penale comunitaria in questo settore sarebbe indispensabile anche perché alcuni medicinali o sostanze che sono vietate dalla Legge in alcune Nazioni, in altre sono perfettamente lecite, e ciò accade perché manca ancora una visione giuridica comune che uniformi la legislazione dei diversi Stati appartenenti all’Unione Europea in materia di sport. Questa necessità appare più impellente in vista del futuro allargamento dell’Unione Europea a 25 Stati che si verificherà dopo il primo Maggio 2004. Se l’organismo europeo competente avesse provveduto a legiferare in tal senso, le norme da esso espresse avrebbero costituito un vincolo anche per i governi che in materia si dimostrano più elastici di altri. In passato avevamo evidenziato che la politica in materia di doping intrapresa dalla Commissione si è rilevata scarsamente incisiva. Infatti, finanziando la Costituzione dell’Agenzia mondiale contro il doping (cioè l’A.M.A.) che attualmente ha sede legale a Losanna e la sede operativa in Canada (a Montreal), si era intrapresa un’azione politica per combattere il doping che con il passare del tempo si sarebbe inevitabilmente rivelata fallimentare, poiché questa Agenzia è espressione del CIO (Comitato Olimpico Intemazionale), che dovrebbe essere l’organo controllato, ma che di fatto, in tal modo, è anche il controllore di se stesso, Chi conosce bene il mondo dello sport aveva fatto presente alla Commissaria europea e alla Commissione competente di non entrare a far parte, come componente, dell’A.M.A. e di non finanziare in modo massiccio questa agenzia, in quanto ciò avrebbe prodotto, inevitabilmente, una sorta dì connivenza con quel modo di agire. Ma, come suol dirsi, “il tempo è galantuomo” e alla fine riesce a rendere giustizia alle buone intenzioni a discapito di quelle cattive: intatti la Commissaria alla cultura Vìviane Reding nel corso di un convegno sullo sport tenutosi a Roma il 5 e 6 dicembre del 2001, ha testualmente dichiarato: “Lunedì scorso ho presentato ufficialmente le dimissioni dalla A.M.A., perché l’Unione Europea non poteva accettare di far parte di un organismo che non ha progetti, i cui bilanci non hanno trasparenza, la cui gestione non è assolutamente trasparente e democratica. Non ci può essere alcuna relazione fra l’U.E. e un organismo simile”. “L’Europa non ha bisogno di dipendere da nessuno: noi abbiamo mezzi, strutture e anche laboratori d’avanguardia”. (La Gazzetta dello Sport – 7/12/2001 – pag. 35). La Commissaria alla cultura, sempre in questo convegno ha sostenuto: “Lo sapete che attualmente ci sono due sedi dell’agenzia mondiale contro il doping (AMA)? Una è a Montreal, ed è guidata da un canadese Dick Pound, quella amministrativa invece si trova a Losanna, quindi in un altro paese extracomunitario. Non ha senso far parte di questa agenzia, abbiamo chiesto più chiarezza nei conti, ma ci hanno risposto che non era possìbile”. (Il Corriere dello Sport – 7/12/2001 -pag. 30) Attualmente la Commissione contìnua a finanziare l’AMA, indirettamente, attraverso alcuni progetti pilota, come ad esempio l’iniziativa relativa al “passaporto sanitario dell’atleta”.

Infatti, in occasione dei Giochi Olimpici di Salt Lake City, che si sono tenuti nel Febbraio 2002, l’AMA e la Commissione Europea hanno realizzato il progetto denominato il” Passaporto dell’atleta“, che consiste in una sorta di documento d’identità, nel quale i responsabili dei controlli antidoping raccolgono informazioni relative alla situazione sanitaria dell’atleta. Il 16 Luglio 2002, la Commissione Europea ha lanciato un nuovo appello a proposito dei progetti internazionali che contribuiscano a rafforzare il molo dello sport nella politica della gioventù e nella lotta al doping. Con un budget di 4 milioni di euro si dovranno realizzare cinquanta iniziative che riguarderanno le campagne dì informazione, gli scambi di esperti e la formazione.

Il fatto positivo è che dalle dichiarazioni della Commissaria alla cultura, la Signora Viviane Reding, si evince che il governo esecutivo dell’unione europea si è in parte ricreduto della politica iniziale intrapresa per quanto riguarda il doping. Dobbiamo solo sperare che, in futuro, la lobby dello sport, molto potente in Europa, attraverso le pressioni di molti deputati non convinca la Commissione ad adottare in materia di doping una politica diversa a danno del movimento sportivo e quindi dell’Unione Europea.

Pietro Mennea