Melfi: crogiolo di culture

Una mattina di febbraio del 2015 ho visto un castello senza tempo. Una mole maestosa in grado di sovrastare un’intera città.
Ho deciso allora, mossa anche dalla curiosità 1travolgente di mia sorella, di scendere alla stazione di Melfi ed inerpicarmi per la salita in pietra che conduce al castello.Immerso nel suo silenzio, esso ospita, oggi, anche il Museo Nazionale del Melfese collocato in tre sale del piano terra. Conserva reperti archeologici appartenenti alle popolazioni indigene della preistoria, dei periodi romano, bizantino e normanno.

Riassumo brevemente la sua storia dopo aver letto una ricerca interessante sul sito CittadiMelfi.it.
Nel 1042 Guglielmo d’Altavilla, insediatosi a Melfi, costruisce un castello. Poi, Roberto il Guiscardo è investito dei ducati di Puglia, Calabria e Sicilia. È da sottolineare che il primo nucleo del castello è di creazione Normanna e viene edificato tra il XI e il XII secolo. Federico II di Svevia decide di ristrutturare ed ampliare il maniero scegliendolo anche come propria residenza e promulga le costituzioni melfitane nel 1231, primo testo organico di leggi che regolamentano il vivere comune. In seguito, il castello diventa la dimora di Carlo I D’Angiò che ordina la costruzione di locali adiacenti alla Sala del Trono. Altre modifiche vennero poi attuate nel 1460 da Giovanni II Caracciolo.
Ciò che ci accoglie vicino all’ingresso è uno splendido sarcofago in marmo denominato “Sarcofago di Rapolla”, raffinato prodotto delle botteghe di scultori dell’Asia Minore, rinvenuto verso la metà del 1800 nelle vicinanze di Rapolla in località Albero in Piano. L’accuratezza dei dettagli cattura lo sguardo e spinge l’osservatore a girare in tondo cercando di coglierne la bellezza da più angolazioni.
Una volta uscite dall’ingresso e proseguendo la nostra camminata, ci accolgono una porticina e splendide scalinate che ci conducono ad una sala dagli intarsi dorati, ospitante la collezione della famiglia Doria.

Nel 1531 l’imperatore Carlo V donò il feudo di Melfi ad Andrea Doria come ricompensa dei servizi prestati in suo favore. Tra il XVI e il XVIII secolo, infatti, il castello di Melfi venne trasformato da fortezza a residenza nobiliare dei Doria. L’attenzione è tutta rivolta ai numerosi pannelli esaustivi che ricostruiscono la storia di questa famiglia e, allo stesso modo, essa verrà rapita dai colori del quadro “Cacciagione e cani”.
Ciò che collega tutte le stanze del museo è la luce che dalle finestre colpisce le teche e illumina i numerosi manufatti rinvenuti nelle sepolture di un bambino nel V secolo a.C., del corredo di un eroe con la corona d’oro e degli splendidi accessori principeschi di un corredo femminile. È interessante notare come all’idea della sepoltura sia collegata anche l’idea della libagione. In particolare, una teca addolcisce la nostra visita: quella che espone un servizio in argento con il quale nel mondo greco venivano versate ai defunti offerte di latte, miele, vino e acqua.

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