Intuito e Ragione, Intervista a Mauro Maldonato

Siamo attori consapevoli o macchine biologiche? Questo il titolo del nuovo volume del noto psichiatra Mauro Maldonato, pubblicato dalla casa editrice Giunti, la cui presentazione ha debuttato in via esclusiva nel mese di giugno presso il capoluogo di regione. Il libro del prof. Maldonato, docente di Psicologia della Comunicazione presso l’Università degli Studi della Basilicata, è un viaggio che accompagna il semplice curioso al pari degli appassionati di nreceived_9213306312938763euroscienze alla scoperta di quei processi oscuri del cervello umano, e che sono alla base delle nostre decisioni e azioni. Il testo mette in luce la complessità delle dinamiche che regolano le azioni umane: dalle norme culturali ai fattori biologici, passando per quei meccanismi inconsapevoli e finora esplorati del cervello umano e il ruolo determinante giocato dall’intuito dal punto di vista evolutivo, tutto sembra giocare a sfavore delle radicate tesi incentrate sulla presunta centralità della consapevolezza della “ragione”. Abbiamo intercettato il prof. Maldonato per una disamina più attenta delle ragioni che lo hanno portato alla pubblicazione del sopracitato volume.

Il suo libro inizia con questa frase: “Il pensiero viene quando vuole lui e non quando voglio io” in riferimento ad un caso clinico da lei seguito molti anni fa. Cosa penserebbe un neuroscenziato di una tale affermazione?
Non credo che i neuroscienziati abbiano particolare interesse alla psicoterapia, se non nel senso di comprendere come le parole modificano il funzionamento neuronale. Quel che non solo i neuroscienziati, ma tutti coloro che intendono comprendere la mente umana, hanno davanti il problema di porre mano a una scienza della soggettività umana. Non solo per comprendere meglio la nascita dei disturbi mentali, ma anche per migliorare le cure per i pazienti che potranno beneficiarne di più, somministrandole nei modi più efficaci. Uno scambio tra la psichiatria e la biologia non solo è scientificamente importante, ma rappresenta il futuro della cura nel ventunesimo secolo.

Nelle prime pagine parla di una regione oscura che ancora deve essere descritta adeguatamente dalla scienza, e che non può essere identificata con aspetti del pur vasto campo semantico dell’inconscio teorizzato da Freud. Quali sono i punti di contatto e le divergenze tra i due termini?
Nella prima metà del XIX secolo, ben prima delle scoperte di Freud, alcuni neurologi e psichiatri avevano posto solide basi per la rivoluzione psicoanalitica. Dopo l’enorme lavoro di scavo fatto dal grande psicoanalista viennese, dobbiamo proseguire il cammino. Lui stesso ci avrebbe incoraggiati. L’identificazione delle forze motrici della mente è ancora lontana dall’esser conclusa. È necessaria una nozione più efficace dell’inconscio per dare un nome a quel qualcosa che agisce in noi e che, a torto, ci illudiamo di possedere: quel qualcosa che crediamo Io.

L’intervista integrale nel Lucano Magazine!