Fede e pietà: la via del cristianesimo popolare

Si è svolto a Potenza nei giorni scorsi un convegno dal titolo “Fede e pietà: la via del cristianesimo popolareˮ, promosso dalla Conferenza Episcopale di Basilicata. L’incontro, si è tenuto presso l’Aula Quadrifoglio del polo umanistico dell‘Università Degli Studi della Basilicata a Rione Francioso, e si è svolto alla presenza del prof. Paolo Augusto Masullo, Direttore del DISU (Dipartimento di Scienze Umane) dell’Unibas ed intervenuto in qualità di moderatore e di Mons. Agostino Superbo, Arcivescovo Metropolita di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo.

L’iniziativa fa parte di un ciclo di conferenze sul tema del rapporto tra fede e pietà: la via del Cristianesimo popolare, che ha preso il via a Matera con un dibattito su fede e arte – la via della bellezza – ed è proseguito a Viggiano con un convegno su salute ambiente e lavoro – la via profetica -,  precedendo un quarto e quinto appuntamento che si svolgeranno rispettivamente a Melfi domenica 8 Novembre attraverso un incontro-festa con i giovani volto a testimoniare la vita buona del Vangelo e la gioia di vivere “a cui sono chiamati i credenti, come sostenitori e propugnatori dell’umanesimo integrale e  trascendente che trova in Cristo, maestro di umanità, l’origine e il compimentoˮ, e a Firenze, dove dal 9 al 13 Novembre 2015 si svolgerà il quinto convegno ecclesiale nazionale per riflettere sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo“.2

Un tema, quello della pietà popolare, legato alla sua forza evangelizzatrice ed espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio. Essa si manifesta con i caratteri della semplicità e dell’immediatezza, dei bisogni fisici e spirituali, incarnata nella cultura dei poveri e nella spiritualità dei semplici e degli umili, ma anche pellegrina e missionaria come recita l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco ai vescovi e ai presbiteri, ai diaconi come alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale.

La pietà popolare è una realtà viva nella Chiesa e della Chiesa, ci ricorda il Direttorio su pietà popolare e liturgia, e rappresenta l’incontro felice tra l’opera di evangelizzazione e la cultura. Lo stesso Giovanni Paolo II ricordò, nel discorso ai vescovi della Basilicata, il valore educativo della pietà popolare del nostro popolo, custode di una singolare ricchezza di valori, tramandata di generazione in generazione, e in questo periodo storico siamo chiamati ad un’opera di conversione di stili di vita che caratterizza l’attuale realtà così variegata ma anche così vulnerabile e che sappia favorire l’ inclusione sociale dei poveri.

Relatori del convegno Giuseppe Maria Viscardi, professore associato di Storia Moderna presso l’Università di Salerno, Francesco Sportelli, docente di Storia della Chiesa, Istituzioni ecclesiastiche e archivi presso il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo con sede a Matera e don Massimo Naro, presbitero della diocesi di Caltanissetta e direttore da dieci anni del Centro Studi Cammarata di San Cataldo.

Il prof. Sportelli ha dichiarato “che sempre nel cammino del Cristianesimo si è attestata la tendenza a trasformare la diffidenza nei confronti delle forme popolari della religiosità in una valorizzazione delle stesse, liturgizzandole. Il rapporto tra religione del popolo e produzione liturgica è basato su una co-esistenza pacifica, che diventa tuttavia problematica a partire dal Concilio di Trento per  diventare infine valorizzazione nel periodo contemporaneo che segue il Concilio Vaticano II. Nel periodo moderno a cavallo tra il pontificato di Leone XIII e PIO XI, e dunque tra la seconda metà del diciannovesimo secolo e gli inizi del ventesimo si consolidano e si istituzionalizzano le forme di devozione sorte nel periodo seguente agli sconvolgimenti illuministici tendenti a unificare la religiosità ed il culto con gli aspetti superstiziosi. Si sviluppano gesti dimostrativi in difesa della fede, sempre più esposta a diffidenza o derisione, e vere e proprie forme di devozione popolare come quella al Sacro Cuore di Gesù, le cui immagini sacre erano comprese dalle stesse vecchiette delle parrocchie che altrimenti mai avrebbero potuto comprendere l’attacco sferrato dalla modernità al Cristianesimo. In particolare quelle immagini che raffigurano il cuore rosso di Gesù trafitto da una spada e  grondante di sangue sono lo strumento migliore per far capire il male che i francesi  hanno fatto alla Chiesa, mettendo in discussione con i valori rivoluzionari del 1789 il culto e l’idea  stessa di Gesù. 

Nascono nuove feste liturgiche atti di consacrazione e pellegrinaggi, si diffonde la pratica delle litanie per riparare i culti dagli attacchi sferrati dalle idee in voga in epoca illuministica. Con la proclamazione del dogma della Madonna la stessa figura di Maria in questo periodo viene liturgizzata e istituzionalizzata con pratiche di devozione popolare, attraverso le congregazioni mariane sostenute dai gesuit, le pie unioni delle figlie di Maria e le recite del rosario raccomandato nelle apparizioni di Tours nel 1858 e la celebrazione dei riti mariani nei mesi di Marzo e Ottobre. La diffusione e la devozione verso il culto mariano è altissima tanto da trasformarsi in una religiosità che lascia trasparire un eccessivo sentimentalismo, con il quale sembra smarrirsi il senso e il contatto con la realtà concreta.Ha in seguito inizio il movimento liturgico che prende avvio dal ritorno dei monaci benedettini nelle loro abbazie e la formazione di nuovi monasteri in numerosi paesi europei, ma anche nelle Americhe e in Africa che molto contribuirono a liturgizzare le popolazioni, mantenendo ferma la separazione tra la celebrazione delle messe in latino e le conclusioni liturgiche nelle lingue locali”.