A PROPOSITO DI ROYALTY…

E’ da tempo che sulle pagine dei giornali ed in televisione infuria la polemica sulle ricadute ambientali che le estrazioni petrolifere determinano sul nostro territorio, sulla necessità di preservare l’ambiente anche a costo di rinunciare ai benefici economici legati a tale attività, sulla richiesta – per carità questa sì indubbiamente legittima – delle popolazioni delle aree interessate di tutelare la loro salute.
Nel rispetto delle opinioni di tutti su un tema, quello ambientale, che riveste oggi una importanza tale da essere oggetto delle discussioni fra i grandi della Terra, c’è tuttavia da porsi qualche domanda evitando facili luoghi comuni e soprattutto deleterie strumentalizzazioni.
Ma è assolutamente inconciliabile lo sfruttamento di una risorsa energetica come il petrolio con il rispetto del territorio in cui si svolge tale attività e con la tutela della salute? Che ne sarebbe dell’economia della Val d’Agri senza i giacimenti e tutto l’indotto che si porta dietro? Si può pensare di ripristinare lo “status quo ante” l’insediamento dei pozzi e mantenere gli stessi standard di vita che, in questi anni, sono stati raggiunti?
Credo che le risposte a queste domande, se non “inquinate” queste sì da posizioni preconcette che tante volte vengono utilizzate per cavalcare facili populismi ma accompagnate invece dal buon senso e dalla consapevolezza che le attuali conoscenze scientifiche possano essere di ausilio alle nostre valutazioni, ci possono condurre ad una analisi più serena ed oggettiva della questione.
I giacimenti ci sono ormai da anni, anzi ancor prima che intervenissero le Compagnie ( se non da sempre) l’oro nero affiorava in superficie e senza alcuna regolamentazione su tutto il territorio.
L’installazione dei pozzi ha razionalizzato l’estrazione di una risorsa già presente nell’area e ha restituito in termini di royalties e quindi in termini economici le inevitabili modificazioni che un insediamento industriale, soprattutto di quel genere , determina su un’area territoriale.
Ma di converso ha creato occupazione, ha rimpinguato le casse dei comuni che ricadono nelle zone interessate e che a loro volta le hanno reinvestite in opere pubbliche -di cui si può anche discutere- ma che comunque sono state realizzate, ha determinato una economia indotta che è inscindibilmente legata ai giacimenti petroliferi.
Per non parlare poi dell’utilizzo delle royalties per finanziare l’Università di Basilicata, gli ospedali, le infrastrutture del territorio.
Allora la questione va posta , a mio avviso, in termini diversi.
Non si può pensare di eliminare i pozzi né di bloccare le estrazioni: sarebbe antistorico e soprattutto antieconomico.
E’ pur vero che estrarre greggio, depositarlo e portarlo via, non è una attività qualsiasi, non è come coltivare fagioli ma nessuna attività puo’ ritenersi a rischio zero, a maggior ragione se si tratta di pozzi petroliferi.
Da anni però nella pianura Padana e soprattutto nel ravennate dove la densità abitativa è sicuramente superiore alla nostra regione, come pure nei paesi scandinavi dove è notoria l’ attenzione maniacale per l’ambiente, le attività estrattive sono realizzate senza grandi contestazioni.
La vera questione è ,allora, non demonizzare la risorsa petrolio, non farsi condizionare da chi crea falsi allarmismi senza conoscere la reale situazione o enfatizza strumentalmente solo gli aspetti negativi ma chiedere piuttosto, – in maniera netta ed inequivocabile – che le estrazioni siano realizzate nel pieno e assoluto rispetto delle norme ambientali per garantire il territorio e la salute di chi ci vive.
Lo Stato italiano ha una legislazione molto vincolante in tema di ambiente e di industrie ad alto rischio e le regioni, dal canto loro, sono dotate di strumenti operativi al loro servizio per monitorare e tenere sotto controllo le attività più impattanti per il territorio.
Escludendo dunque l’ipotesi inverosimile di azzerare le estrazioni, la soluzione va ricercata in un sistema di controlli più stringente, in una attività continua ed incessante di analisi, monitoraggio e verifica degli standard ambientali di sicurezza e sul mantenimento di un livello di attenzione costante su tutta l’area.
Forse bisognava pensarci prima, può obiettare qualcuno ed anche questa riflessione è corretta, ma è anche vero che, alla luce delle più moderne conoscenze scientifiche, si può certamente intervenire con margini di successo e soprattutto si può imporre a chi opera di utilizzare tutte le migliori tecnologie oggi disponibili per prevenire i rischi.
E’ dunque, a mio parere, una autentica follia l’ipotesi ventilata da molti di far chiudere definitivamente il Centro Oli di Viggiano senza tener conto dei notevoli investimenti delle compagnie petrolifere e del fatto che, l’economia del territorio e i livelli di occupazione sono garantiti proprio dalle estrazioni.
Senza contare, poi, che il Governo regionale in mancanza dei proventi del petrolio non potrà garantire una qualità della vita più decorosa ai Lucani riducendo il triste fenomeno dello spopolamento delle aree interne e della nuova emigrazione dei giovani che in massa stanno abbandonando la loro terra di origine.
Bisogna farsene una ragione: in attesa che si completi il processo di rinnovamento con energie alternative più pulite e rispettose dell’ambiente almeno per i prossimi 30-50 anni saremo ancora dipendenti da quella ricavata dal petrolio.
Rinviare ancora la riapertura del centro oli significa solo rinunciare a risorse importanti ed indispensabili per tutti noi lucani.