Intervistando Antonello Scavone, bomber di rara ‘Eccellenza’

“Nel calcio come nella vita”. 

Frase idiomatica più universalmente usata nel mondo del pallone, forse non esiste.

Del resto tale espressione è un valido e sicuro riferimento, una sorta di Vademecum nel momento in cui l’appassionato sportivo è chiamato a commentare le prestazioni di un qualsivoglia calciatore: se da un lato viene considerata la prestazione in sé e per sé in campo, dall’altra essa è quasi indissolubilmente legata e inverata – ai fini del giudizio complessivo – da altre valutazioni, quelle intorno al valore umano e morale dell’atleta ‘fuori dal campo’. Che si sia un tifoso da bar o un cronachista esperto da redazione sportiva, l’equazione per tutti dovrebbe suonare più o meno così: brava persona nella vita, bravo atleta nel campo; cattiva persona fuori il campo, cattiva dentro etc. etc.

Ed è parlando con Antonello Scavone, bomber di rara ‘Eccellenza’, che ho sperimentato nuovamente il valore dell’idioma calcistico in questione.

Vede –  commenta Scavone – dopo tanti anni a giocare nelle più disparate città, nelle più diverse squadre, ognuna con velleità sportive diverse, ho compreso come la reale importanza e l’effettiva priorità, secondo me, sia dare la giusta immagine dell’uomo che sei,  fuori e dentro il campo. Le stagioni possono essere migliori o peggiori, fortunate o meno, ma quello che rimane, alla fine di tutto, è la considerazione e la stima di te che sei riuscito a costruire con l’ambiente in cui lavori quotidianamente”.

È dunque questa stima reciproca, la coesione cementata tra gli uomini prima e – direi naturalmente – tra calciatori-compagni di squadra poi che ha segnato l’ottima stagione sua e dell’ASD Soccer Lagonegro?

Certamente. Sin da subito, arrivato a Lagonegro, ho trovato una bella realtà di squadra, i cui componenti si sono dimostrati sempre pronti a sacrificarsi, oltre i propri limiti, pur di soccorrere il compagno in campo. Questo accadeva anche fuori dal terreno di gioco o di allenamento. Era imprescindibile infatti per noi uscire e cenare insieme in genuina goliardia. L’abbiamo detto, nel campo come fuori il campo, e i risultati poi arrivano”.

I risultati: sono questi alla fine che determinano il ‘sapore’ di una stagione, sia stata quest’ultima vincente o meno. Quali sono le sue sensazioni, dunque, nell’aver ottenuto, sì, il premio di Capocannoniere nel campionato di Eccellenza lucana ma, contemporaneamente, di non essere riuscito assieme ai suoi compagni – per poco davvero – a vincere il sopraddetto campionato?

Eh, davvero per poco! – sorride sghembo Scavone – Purtroppo non siamo stati capaci, complice anche un po’ di sfortuna, di coronare il sogno che, insieme a tutta la società, anche la splendida cornice della città di Lagonegro agognava e meritava”. 

Come consolazione, almeno in parte, il premio come miglior marcatore del torneo..

No, no, non è una consolazione che mitiga l’aver perso il campionato, questo no. È un riconoscimento (e risultato) che sicuramente ripaga di tanti sforzi e sacrifici personali, certo, ma non mi allontano così tanto dal vero – rischiando anche di apparire retorico -, se dico che, ora, scambierei il mio personale trionfo con quello del collettivo, della squadra che vince il campionato. Del resto, se ho ottenuto questo successo personale è perché tutti i ragazzi in campo mi hanno aiutato a esprimere il mio miglior calcio. Ai miei compagni quindi dico grazie, come anche massima gratitudine per mister Camelia, al quale va il merito di essere riuscito a far esprimere tutto il mio potenziale calcistico, nonché umano”.

In molti sostengono che, proprio a motivo di questo suo potenziale, lei meriti palcoscenici più prestigiosi. A che cosa crede sia dovuto il fatto che non si sia affacciata  ancora alla sua porta qualche società di categoria superiore?

Guardi, davvero non saprei cosa risponderle a riguardo. Io tento – alle volte bene, altre  volte meno – di fare solamente il ‘mio’, cioè allenarmi duramente e con dedizione, per conseguire risultati, sia personali che di squadra, importanti. Spero solo – ma è più una paura che una risposta alla sua domanda – che su di me non pesi ancora qualche giudizio negativo per la vicenda ormai arcinota, risalente al 2012, in cui mi resi protagonista di un gesto sconsiderato nei confronti di un giornalista. Errore di cui, pur pentendomi ancora oggi  tantissimo, credo di aver scontato abbondantemente la corrispettiva pena, tanto in termini sportivi quanto – ed è quello che mi ha amareggiato di più – in termini umani. L’uomo che sono oggi e che vede l’Antonello ventenne compiere quel gesto, è una persona totalmente diversa: ho compreso, grazie a quell’episodio, come orientare i miei passi in questo mondo, cercando di dare e ottenere, sempre e prima di tutto, il rispetto e la benevolenza reciproca con le persone a me vicine. Ribadisco, è solo una personale sensazione, magari invece la reale motivazione consiste nel fatto che, al momento, Dio non ha ancora disegnato per me questo tipo di avventura in serie maggiori”.

Ha parlato di progetti e disegni: come vede, dunque, il quadro della sua vita tra cinque anni?

“Sapere che esiste un disegno di Dio su di me rende i miei passi tranquilli e il mio sguardo sul futuro sereno. È una speranza certo, che si colora dei caratteri della Provvidenza, la quale, a differenza dell’ottimismo tout court, ha come pilastro portante l’idea che ogni azione umana venga sostenuta e consigliata dall’infinita saggezza di Dio. Quindi, per risponderle, tra 5 anni, con la volontà di Dio, mi vedo ancora nel mondo del calcio – con l’auspicio di militare in categorie superiori – e, soprattuto, confido d’aver costituito una nuova famiglia con quella che, ora, è solamente la mia ragazza, ma che spero presto diventi mia moglie.”

Pare dunque che Antonello Scavone non abbia la minima intenzione di smettere di fare goal, nel calcio come – soprattutto!- nella vita.