Pais, il ‘paese’ della fanciullezza raccontato in musica

Lo scorso novembre il maestro Rocco Mentissi ha pubblicato il suo nuovo lavoro discografico País. Si tratta della sua seconda produzione, dopo l’esordio da solista con TraMe, disco uscito nel 2014. País, a cui hanno collaborato i musicisti Leonardo Corbo, Rocco Pio Raimondi, Massimo De Carlo, Fabio Sabato, Gió Di Donna e Ivan Mentissi, figlio del Maestro, è un disco davvero unico.

Vale dunque la pena incontrare il pianista lucano in uno dei suoi luoghi di elezione, il Liceo Classico “Q.O.Flacco” di Potenza, dove Mentissi insegna da qualche anno.

Maestro Mentissi, prima di tutto complimenti per questo lavoro discografico di rara bellezza. Se permette vorrei farle qualche domanda sulla genesi del disco. Partiamo dalla domanda più scontata e più “necessaria”: Ci dice il significato del titolo “Pais”?

Pais, letto nella lingua greca, significa fanciullo. Pronunciato, invece, in dialetto tolvese – la mia lingua natale – indica il paese. Due dimensioni, dunque: una temporale e antropologica, l’altra spaziale e architettonica, che si intrecciano. Amo, infatti, racchiudere il senso profondo di questo lavoro in una proporzione: il fanciullo sta all’uomo come il paese sta alla città. Il progetto, dunque, è animato dalla consapevolezza che l’infanzia rappresenta il luogo e il tempo dell’autenticità, del mistero, della magia dell’essere e vuol evocare con la musica la quadruplice radice che lega e scandisce elementi fondamentali del vivere: gioco, preghiera, natura, amore.

Cosa ha ispirato la scrittura e l’esecuzione di questo lavoro? 

I miei ricordi di infanzia, un’infanzia intensa, vissuta con slancio libero. Libero, sì, di correre e giocare tra le stradine del Casale, un rione tolvese che si estende ai piedi della parte alta, detta “Castello”. Un pugno di case bianche, assolate, con le porte sempre aperte, popolato da gente umile, ma cordiale e affettuosa, come un’unica famiglia. Con nove brani ripercorro, appunto, ricordi infantili: le corse a perdifiato, gli infiniti giochi in strada, il nido rassicurante della casa dei nonni, contadini semplici, ma saggi e soprattutto sereni, la terra, in cui si giungeva in sella ad un asino; terra vissuta prima come prolungamento del proprio corpo, dopo come un destino, come centro del proprio universo. Tra le composizioni non poteva mancare la mia rivisitazione dell’inno tradizionale dedicato dal popolo dei fedeli a San Rocco di Tolve, presenza sacra che ogni tolvese porta con sé, fin da bambino, splendente d’oro, sole che da sempre ci protegge, sublimazione tangibile  della dis-grazia in Grazia.

Com’è stato lavorare con altri musicisti? Il suo disco precedente, “Trame”, è, infatti, un lavoro da solista e i solisti, in genere, preferiscono questa dimensione della musica!

Sono abituato a gestire da solo le scelte musicali, secondo la forma mentis propria di un compositore e di un direttore di orchestra. Ma in Pais, fin dal primo momento, ho sentito l’esigenza di incursioni elettroniche, con l’intento di contaminare il suono classico del pianoforte, che, pur restando lo strumento principale del disco, a differenza del primo album “Trame”, dialoga e si lascia accompagnare con e da altri strumenti. Quindi, se dialogano gli strumenti, lo fanno anche i musicisti.

Il Maestro Rocco Mentissi

Da lì sono iniziati due anni intensi di lavoro, al fianco di uno staff di produzione a dir poco fantastico (Leonardo Corbo e Massimo De Carlo, due artisti eccezionali, i quali hanno prodotto e arrangiato le mie composizioni e dato una veste grafica al mio soggetto, dna filosofico e narrativo dell’album), con due batteristi fenomenali (Giò Didonna e Fabio Sabato) e due talenti puri, giovanissimi (Rocco Pio Raimondi alla tuba e Ivan Mentissi al clarinetto). Questo disco, quindi, ormai è qualcosa di più di un disco: un luogo di profonda umanità, un gruppo di sognatori, un piccolo paradiso a portata di mano, un ricordo che si fa futuro.

Quindi, oggi,  posso affermare con certezza che collaborare con altri artisti  mi ha consentito crescere come musicista e come uomo e, inoltre, mi ha insegnato   a credere  di più in ciò che scrivo, il che non è  sempre  scontato. 

La poesia della sua musica potrebbe distrarre l’ascoltatore dal motivo “politico“ del disco. Mi sbaglio o il rimando struggente al passato della piccola comunità, alla fanciullezza del nostro essere stati comunità, Pais, appunto, contiene una critica non tanto velata nei confronti di chi ha amministrato il nostro sud, svuotandolo di giovinezza?

Pais non persegue finalità politiche, ma la poesia – quando c’è – insegue il vero e per questo diventa inevitabilmente un mezzo forte e profondo di denuncia. Infatti non mi dispiace sapere che la mia musica induca a riflessioni di carattere sociale, sebbene non si accompagni con le parole. Personalmente non amo le politiche quando sono guidate da uno spirito di autoaffermazione individualista più che da una volontà sana di affermazione collettiva di un territorio, come la nostra amata Basilicata, che da sempre non è compresa, non è riconosciuta nella sua bellezza altra, alternativa com’è ai canoni ufficiali, globali. I giovani fuggono da una regione dove – come ho già con amarezza evidenziato altrove – non sei nessuno se non appartieni, dove  anche gli artisti cedono tristemente ai ‘politicozzi’ di turno per esibirsi, dove la libera iniziativa è bloccata dall’alto, ma anche dal basso, secondo una visione vittimistica diffusa, che è premessa di una prassi clientelare, salutata e accolta come naturale e provvidenziale. Ciò che più mi addolora è vedere i leader di oggi che, sventolando la bandiera di un cambiamento finto e menzognero, marciano anacronisticamente sui modelli atavici e disfunzionali del baronismo. Inoltre, i pochi che restano, dal canto loro, hanno abbandonato il sapiente modello di collaborazione e solidarietà umana, proprio dei nostri padri, per lanciarsi in una vertigine di competizione vana e sterile: stiamo diventando un popolo che dimentica le proprie radici sociali, ricche di umanità, di frugalità e si ispira a quei modelli borghesi e signorili che esso stesso, storicamente, ha subito. Per questo, prima che lo spopolamento esponenziale della Basilicata e le politiche miopi cancellino le tracce di un vissuto pregno di valori, provo – con l’ausilio della musica – a conservare e riaccendere, con i mezzi del presente, questo patrimonio umano, sonoro, storico e, nel contempo, tendo di rilanciarlo quale possibile paradigma futuro, in cui l’uomo possa tornare ad essere centro di ogni sua azione, nel rispetto di sé, dell’altro e dell’ambiente che li accomuna.

Cosa vorrebbe che rimanesse nella mente nel cuore di chi ascolta la sua musica?

La Basilicata che pian piano si allontana e si dilegua nella sua infinita bellezza, che mai ha trovato la via della vittoria, ma per questo ancora più bella, più potenziale che mai. Se solo avessimo la forza e il coraggio di puntare sulla nostra  terra per quella che è, le nostre retrovie culturali si imporrebbero come sostenibili esperimenti di avanguardia, artistica e sociale. E vorrei che passi il seguente messaggio: la musica non è solo quella che gira in radio o quella che sta alle nostre spalle, ma che la musica si regge anche su rischiosi atti creativi e esplorativi, perché le radici, secondo me,  sono tristi senza fiori. E per finire, ciò che ritengo più importante: mi auguro che Pais lasci nel cuore di chi l’ascolta un’esplosione di umanità, la perla più rara di questo nostro tempo. 

Pais Live è sold-out, pronto a ‘riempire’ di nostalgia antica e speranza futura il Teatro Stabile di Potenza il prossimo 10 Marzo, alle 20.30.

Tornare, anzi, ricordare di essere bambini, riper-correndo le strade della propria anima è possibile: Pais, il ‘paese’ della fanciullezza raccontato in musica.