L’ereditarietà della tradizione nel cuore dei “Proverbi”: Giuseppe Satriano racconta la sua Baragiano

È noto che la riconosciuta capacità di acuta penetrazione della realtà da parte della popolazione contadina – fin nelle sue più nascoste profondità e contraddizioni – si è sempre espressa attraverso la diffusione di aforismi e proverbi, trasmessi oralmente nel corso dei secoli. Quale il motivo della straordinaria e feconda produzione di queste lapidarie forme di comunicazione dal tono spesso incisivamente gnomico e dalla formulazione asciutta e tagliente, allusivamente oscillante tra l’ironia mordace, l’amaro fatalismo e l’indulgente bonomia?

Giuseppe Satriano, nel suo libro “Baragiano: Aforismi, Proverbi, Motti e Frizzi”, presentato lo scorso 21 dicembre 2019 nella Sala del Cortile di Palazzo Loffredo a Potenza, con gli interventi dei professori Nicoletta Sabatella, Eva Mutalipassi, Lucio Attorre e la coordinazione di Pino Quartana, ne indica la genesi e ne illustra il significato a partire dalla propria lunga esperienza di ascolto, continuo e appassionato, degli anziani della comunità baragianese, inconsapevoli elargitori del dono prezioso di tante perle di saggezza, un vero patrimonio da custodire e tramandare.

L’autore chiarisce che la proliferazione di tanti modi di dire, così icasticamente efficaci, è da ascrivere alla mancanza di strumenti linguistici adeguati alla rappresentazione della complessità delle situazioni presenti nella misteriosa trama della realtà e delle connesse implicazioni filosofiche e psicologiche che ne costituiscono lo sfondo. Nel libro la presentazione di ogni singolo proverbio o aforisma è accompagnata da un approfondito commento dell’autore, che riesce a cogliere la radice storica dei detti e delle massime riportati, il cui valore documentario per lo studio della civiltà contadina si rivela fondamentale sul piano antropologico-culturale.

Nell’ampia rassegna dei tanti modo di dire prende, altresì, risalto l’aspetto psicologico sotteso all’esigenza, avvertita dalla popolazione contadina, di rappresentare fedelmente la realtà, senza omissioni o ipocrisie, con un linguaggio primitivo e disadorno, sebbene non privo di forte pregnanza semantica. Perfino dai motti e dai frizzi Satriano non esita a trarre preziose annotazioni di costume, nelle quali è sottolineata la presenza di un intero universo valoriale, ricco anche di contraddizioni: da una parte, il rispetto della persona, il senso religioso della vita e della morte, la percezione della fugacità del tempo, il valore dell’amicizia e della solidarietà, l’importanza del lavoro, l’etica del sacrificio; dall’altra, l’accettazione fatalistica degli eventi, la diffidenza acritica verso l’altro, l’astuzia maliziosa orientata al calcolo, l’atavica misoginia contadina.

L’autore non si limita alla elencazione dei detti baragianesi e dei paesi limitrofi, ma spazia in culture di altri popoli e di altre epoche, effettuando un’analisi comparativa di molti aforismi francesi, inglesi e addirittura latini dei quali rileva con puntigliosa ricerca sia le corrispondenze sia gli slittamenti di significato. L’esposizione è sempre attenta e minuziosa e l’autore sconfina anche nel campo della metrica, quasi a rimarcare l’importanza della rima nella versificazione per una più rapida memorizzazione e conseguente possibilità di trasmissione orale. Non va sottaciuto infine che il riferimento alla proverbiale saggezza popolare, attinta anche all’inesauribile serbatoio di una religiosità vetero e neotestamentaria, illumina una visione della vita e dell’ uomo ben depositata nel solco della storia di ogni singolo e dell’umanità intera. Una visione che non tarda a emergere dalla non sempre ortodossa aderenza alle strutture narratologiche dei testi biblici e dalle colorite sfumature linguistiche dialettali.

Questo il pregio del volume: aver dato un respiro universale all’ampia materia sulla quale l’autore ha saputo ricostruire e omaggiare la profondità del sostrato filosofico-esistenziale della cultura popolare nella convinzione che «i pensieri e le opinioni, nel momento in cui vengono accettati e condivisi, non appartengono più ai loro autori, ma a coloro che, condividendoli, li fanno propri».