Eugenio Montale

Se il linguaggio è dinamite, quello scarno ed essenziale utilizzato dal poeta Eugenio Montale ha bisogno di una miccia per esplodere e svelare il più profondo e nascosto significato. “Uno dei pericoli del nostro tempo è la mercificazione dell’inutile”- afferma la prof.ssa Franca Bibbo in un evento culturale dedicato al grande poeta, giornalista, pittore, critico musicale e prosatore del ’900. Un pericolo che non corre la poesia di Montale che non chiede la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe. “La poesia è una malattia endemica- prosegue la prof.ssa Bibbo- è la testimonianza più drammatica dell’uomo moderno che vaga lungo un muro arroventato che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Il rapporto nuovo instaurato tra parola e oggetto, che tende a tracciare tra i due la via più diretta e più breve è il significato che deve darsi alla poetica dichiarata nella raccolta “Ossi di seppia”, pubblicata nel 1925. La seconda raccolta di liriche “Le Occasioni”, pubblicata nel 1939, testimonia ancora quel vuoto esistenziale attraverso la rievocazione del passato con l’illuminazione improvvisa che viene da oggetti o spettacoli. A seguire, la terza raccolta “La Bufera e altro” pubblicata nel 1956, raccoglie le poesie degli anni della guerra, frutto della disgregazione dei valori umani. “La poesia è un balsamo per l’animo umano. È l’ultimo baluardo di resistenza al mondo d’oggi- commenta il prof. Domenico Venezia”. “Il poeta è un anticonformista, ha coraggio-prosegue il prof. Venezia- è colui che ricrea il mondo, ha la funzione di alfiere della bellezza. Oggi c’è una deriva della parola. Si scrivono fiumi di parole, spesso parole d’odio, aggressive. Si parla attraverso frasi fatte. Il poeta non fa altro che togliere la ruggine alla parola restituendole la sua funzione originaria. Secondo Martin Heidegger, filosofo del ’900, la poesia non è semplicemente un diletto. La realtà è qualcosa che ha bisogno di assumere un significato tramite l’uomo guidato dal pensiero calcolante”. “La poesia è epifania- ci svela il prof. Rocco Mentissi- e il poeta è colui che ci fa riabitare in altre realtà. “I poeti laureati si muovono soltanto tra i nomi delle piante poco usati. A Montale, invece, piacciono le viuzze spontanee, i fossi, le pozzanghere, il fango, l’anguilla. E ad un certo punto in mezzo a questo paesaggio umile si può essere sorpresi da un tocco di luce: i limoni, le trombe d’oro della solarità”. “Ed è qui che Montale smette di essere poeta e diventa pittore- prosegue Mentissi con una riflessione esistenziale- la vita non va trovata tra i libri ma è un frutto. Siamo ricchi ma non lo sappiamo”. Montale dipinge e suona contemporaneamente con un’alternanza tra colori e suoni: “Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall’azzurro: più chiaro si ascolta il sussurro di rami amici”. “La poesia canta la condizione ambigua dell’essere umano- prosegue Mentissi- L’occhio del poeta vede nell’inquietudine un filo di bellezza, basta ascoltare in silenzio per cogliere il senso ultimo delle cose riconoscendo Dio. La felicità può accadere per sbaglio: Un portone malchiuso da cui spuntano i limoni può aprire le porte della felicità infinita. Ed è così che il limone non è più colore ma diventa musica esistenziale”. “La poesia di Montale è cinematografica nella lirica “La casa dei doganieri”- commenta Danilo Vignola- ove la casa è legata al ricordo di un amore giovanile. Lei è uno sciame di pensieri. La banderuola che sta sul tetto della casa impazzita simboleggia il tempo che scorre senza pietà. Eppure nel male di vivere che connota l’esistenza umana c’è una luce: l’amore che porta con sé l’irrazionalità della vita e che conduce verso l’autenticità.