SBLOCCA CANTIERI

Il settore delle costruzioni ormai da dieci anni è nella crisi più profonda ed occorre individuare delle misure concrete passando dalle parole ai fatti.
In questi giorni il Governo è alle prese con un decreto chiamato sblocca cantieri il cui testo ancora non è stato ben definito e che sembra non aver recepito lo snellimento delle procedure costituite da miglia di leggi, norme e decreti che rallentano il sistema che ha bisogno di crescere in fretta per risollevare tutto il PIL della nazione.
Sarebbe opportuno nominare una commissione di esperti che possa entrare nel merito individuando un articolato semplice e immediato sia per l’operatore privato sia per la macchina pubblica che oggi non funziona per paura del danno erariale e dell’abuso d’ufficio.
C’è la necessità di un buon regolamento delle procedure affinché si possa dare certezza agli operatori per come ci si deve comportare nella macchina pubblica, lasciando all’Anac un ruolo di controllore e non di regolatore del mercato, dato che sta ritardando ancora di più l’espletamento delle gare e il conseguente inizio dei lavori.
La speranza è quella di avere delle risposte chiare e precise con l’approvazione di un nuovo decreto che possa valorizzare i nostri territori puntando non solo allo sblocco delle grandi opere ma anche alla miriade di piccoli cantieri ancora fermi che interessano le migliaia di aziende piccole e medie di cui è costituito il sistema delle costruzioni in Italia.
Invece di affidare ad un Super-Commissario il monitoraggio delle opere come si è paventato ultimamente, sarebbe più opportuno individuare dei Commissari ad hoc, eventualmente in ogni Provincia che facciano una analisi attenta delle priorità in base anche allo stato dell’arte delle varie opere.


Comunque i nodi da sciogliere sono la ripresa della spesa complessiva per gli investimenti, la riduzione dei tempi di realizzazione delle opere e infine come già detto, la semplificazione massima del quadro normativo.
Il mondo delle imprese di costruzioni, di cui sono un piccolo attore vogliono contribuire a far ripartire il paese.
Pertanto è necessario imprimere una forte accelerazione alla realizzazione delle infrastrutture che dal 2009 al 2018 al Sud sono scese del 50 % procurando una perdita di un punto percentuale del Pil e la mancata realizzazione di ben 60 miliardi di opere pubbliche.
Altro aspetto che è all’attenzione del sistema è quello del salvataggio statale delle grandi imprese di costruzioni, per la cui soluzione ci si augura che non venga a discapito delle maestranze, fornitori, subappaltatori e professionisti che lavorano a valle per queste.
Il rischio è che si inneschi un pericoloso effetto domino, senza che nessuno sappia o voglia realmente arginarlo, sostiene il Presidente dell’ANCE Buia.
Inoltre, dice Buia, qualunque soluzione “speciale” che preveda il coinvolgimento dello Stato rischia di alterare per sempre un mercato che non vuole tutelare le tante imprese oneste che con grandi difficoltà resistono alla crisi, onorando i propri obblighi senza l’aiuto di nessuno.
Le soluzioni che sono state immaginate rischiano di peggiorare lo stato delle cose in quanto per salvaguardare il patrimonio dell’azienda in crisi si smembra il soggetto in due parti, una buona e una cattiva, dove nella prima vengono fatte confluire i crediti e le partite appetibili, nell’altra confluiscono solo i debiti e le commesse fallimentari.


Di conseguenza la prima (good company) diventa interessante per il mercato, mentre la seconda (bad company) non interesserà a nessuno.
Nella seconda confluiscono tutti i debiti contratti con la miriade di piccole aziende subappaltatrici che hanno anticipato i lavori e non sono state più liquidate per l’intervenuta crisi della grande impresa, lasciando in mezzo una strada migliaia di maestranze qualificate molto spesso con decine di anni di esperienza, senza più possibilità di alternative.
Questo fatto produce una disparità e una disuguaglianza inaccettabile tra aziende e lavoratori a seconda se si trovano nella prima o nella seconda fascia.
L’assurdo si raggiunge anche con il fatto che le good, nonostante che siano in crisi, potranno beneficiare di finanziamenti e accedere alle agevolazioni statali, molto spesso costituite ad hoc, e quindi oltre il danno occorre assistere anche alla beffa per le seconde.
Sperando che lo Stato non si inventi qualche altro carrozzone che inglobi tutte le grandi aziende in crisi, come in passato fece con l’IRI, facendo intervenire la Cdp unitamente alle banche tramutando i crediti in azioni per il nuovo soggetto, per poi casomai regalarla con una nuova privatizzazione.
Se lo Stato vuole intervenire per il salvataggio dei grandi gruppi imprenditoriali dovrebbe per prima cosa onorare i debiti contratti a valle e poi rilanciare il nuovo soggetto con l’apporto di nuova finanza, se ci sono i presupposti, altrimenti bisogna estrometterla definitivamente dal mercato.
Solo in questo modo si salvaguarderebbe l’onore e la dignità delle tante imprese sane, oneste ed oculate che sopravvivono con enormi difficoltà alla congiuntura negativa di questi anni.